Mogherini, cautela e contraddizioni

La politica estera italiana, a forza di incedere all’insegna della cautela, finisce sempre per contraddire se stessa e indebolire la posizione di un Paese, il nostro, cronicamente azzoppato di fronte a qualsiasi grave emergenza internazionale. Per tradizione politico-culturale e per uno storico vizio di ideologica idolatria nei confronti dell’imperativo pacifista. L’ambiguità d’azione contraddistingue la politica estera italiana quasi sempre quando ci troviamo a dover fare la nostra parte per contrastare pericoli concreti, come quello dell’avanzata dell'estremismo jihadista dell’Isis.

Proprio mentre Stai Uniti e Gran Bretagna non nascondono irritazione se non disprezzo per la posizione italiana di morbida apertura e di discrezionalità sul pagamento dei riscatti per la liberazione degli ostaggi è esattamente questo tratto claudicante, per non dire ipocrita, che sta segnando la linea della Farnesina contro la sempre più feroce offensiva dello stato islamico. Nel giro di una manciata di ore si è detto tutto e il suo contrario. Finché ieri, a conclusione (?) di una ridicola giostra di dichiarazioni e rettifiche da parte del sottosegretario agli Esteri, Mario Giro, passato velocemente dalle difesa della sovranità dell’Italia nella decisione sul pagamento dei riscatti degli ostaggi, tra cui le due cooperanti Greta Ramelli e Vanessa Marzullo e padre Paolo Dall’Oglio, alla secca smentita delle sue stesse dichiarazioni, ci ha pensato il viceministro Lapo Pistelli a far uscire dall’ambiguità nei confronti degli ostaggi ancora prigionieri dei militanti dell’Isis.

Il criterio è e sarà discrezionale, la valutazione sul pagamento avverrà caso per caso. Si tratta già di un decisionista passo avanti, una certezza chiara seppur esposta al venticello della discrezionalità del “caso e caso” rispetto a quel distillato di vaghezza che ha segnato la precedente dichiarazione del ministro degli Esteri, alla Conferenza di pace e sicurezza sull'Iraq di Parigi: “Siamo tutti d’accordo sulla necessità di agire insieme, sul senso di urgenza: fare presto, fare insieme”. Una dichiarazione cui la Mogherini ha affidato la summa della a dir poco opaca dottrina diplomatica che guiderà l’azione italiana contro il pericolo dello “stato islamico”. Tanto più vaga se appaiata alla convinzione sull’“importanza del lavoro politico da fare e del ruolo che il nostro Paese deve giocare in virtù delle buone relazioni che con tutti i paesi della regione” espressa dal ministro proprio alla vigilia del nuovo intervento militare condotto da americani e francesi ed a cui l’Italia non parteciperà operativamente. Ma solo inviando munizioni e armi, in una collaudata ed ipocrita posizione che strizza l’occhio al più radicato antimilitarismo. Sì, certo, è vero, in fondo anche i paesi arabi, Qatar in testa, sono ancora poco propensi a concedere o meno le proprie basi aeree ad Usa e Francia.

Ma il problema della linea adottata dall’Italia è ben più ampio. Volendo anche sorvolare sulla condanna che Gran Bretagna e Stati Uniti esprimono nei confronti della scelta morbida ormai chiaramente riconosciuta come un punto fermo della politica italiana, resta una domanda e il ministro forse dovrebbe porsela. Il lavoro in corso condotto dai servizi segreti per avviare al meglio le trattative con i gruppi che tengono segregati i nostri concittadini, si avvantaggia davvero del fatto che il passaggio di denaro tra negoziatori e gruppi terroristi è in alcuni casi (e quali?) autorizzato? La Mogherini davvero ritiene che sia sufficiente trincerarsi dietro formulette che ci attribuiscono un importante ruolo politico e buone relazioni nello scacchiere mediorientale o dietro la nostra condizione di paese non interventista ma “semplicemente” fornitore di armi per ammansire la galassia jihadista sirio-irachena e mandare a buon fine le mediazioni per liberare i prigionieri? La linea finora ambigua (si è sempre pagato) ma che ora teorizza apertamente la legittimità della trattativa economica ed il pagamento caso per caso ci espone, invece, ad un duplice rischio. Non soltanto ad un inasprimento delle relazioni con Stati Uniti e Gran Bretagna poiché, a differenza della Francia che è certo agisca in modo simile all’Italia in materia di pagamenti per liberare i prigionieri, il nostro paese non prende parte alle operazioni militari.

Ma, e questo è l’aspetto più grave, dato il collegamento esistente fra molti dei gruppi fondamentalisti e l'entità della sfida lanciata, il risultato è soltanto un indebolimento delle trattative in corso e un incoraggiamento ad inasprire sia il prezzo per la liberazione di ostaggi sia quindi una logica spartitoria dei guadagni provenienti dai riscatti lo scambio dei prigionieri. Procedendo di questo passo le summe della Mogherini non faranno altro che rimpinguare le casse delle Umme estremiste. Il che non è davvero un bene.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:23