Fabio Fazio, il Premier, Craxi e Berlinguer

Il tormentone dei poteri forti sta diventando, nonostante la fine di una non estate, il leitmotiv della stagione 2014.

Stessa spiaggia, stesso mare o, per meglio dire, stesso Matteo Renzi e stessi poteri forti, come alibi. E, come sollecitatore-termine diverso da conduttore Fabio Fazio che, pure, se la cava da tanti anni col suo format. Domande e risposte come un critico speciale, un duetto impareggiabile nella palestra della Tv sempre più spompata dall’abuso del sé stesso che non costa (i talk-show) ma sempre più recidiva. A parte Fazio, che regge. Ma a che prezzo? Innanzitutto, al prezzo di farsi condurre più che condurre, di accompagnare più che provocare, di intendersela, ma in senso non spregiativo, col suo Ospite (con la O maiuscola). Come per il Renzi di domenica.

E vai coi poteri forti nel mirino del Premier, Ferruccio de Bortoli, i giornali, le banche, Sergio Marchionne e (hai visto mai) la Cgil di Susanna Camusso. Un terreno fecondo per Renzi. Talché sembra quasi che il sinonimo poteri forti illustri, soprattutto quello di turno, magari a giorni alterni, e a seconda di cosa scrivono di lui i giornali, giacché qualsiasi potere forte (metti Marchionne) lo è tanto di più in quanto possiede un giornalone (o magari due). Mentre Diego Della Valle, in minoranza solo in uno di questi giornaloni, è, di volta in volta amico e nemico del Premier. Il che ci introduce nella dimensione del cosiddetto opportunismo renziano, che non disdegna spesso superficialità nei giudizi, semplicismi propagandistici, slogan a effetto e, soprattutto, silenzi interessati che dell’opportunismo sono, appunto, il segnale inequivocabile. Naturalmente le risposte a Fazio, altro che se piovevano, secche, precise, pesanti come... polpette avvelenate.

Ma, attenzione: “Le risposte” – scriveva il sommo e implacabile scrittore Oscar Wilde – “sono capaci tutti a darle. Per fare le domande vere, giuste, necessarie, ci vuole il genio”. Ed ecco come Wilde, l’immortale, sistema il colloquio fra i due protagonisti di una serata domenicale che anticipava di qualche ora una giornata particolare del Premier con lo scontro in direzione e coi sindacati. Una vigilia difficile e, dunque, adatta al medium faziano che ha fatto del suo talk-show un paradigma sociopolitico spruzzato di alta ruffianeria, politica anch’essa. Solo che, stavolta aveva a disposizione un materiale umano (chiedo venia...) diverso, speciale, scafato, seppure ben conosciuto se non condiviso politicamente.

“Mutatis mutandis” e aggiornati alla tecnica mediatica contaminata dal web, sembrava di essere stati trasportati dalla macchina del tempo nei saloni secenteschi cari all’Alessandro Manzoni dell’incontro, invero storico, fra il Conte Zio e il Padre Superiore dei Cappuccini, ricordate, vero? Due vecchi esperti di come vanno le cose del mondo. Cioè della politica. E che finisce con la cacciata del povero Fra Cristoforo da Pescarenico a Rimini (che non è una passeggiata, commentava l’arguto Don Lisander). Il Conte Zio, domenica sera, era Renzi, al di là e al di sopra delle sue ascendenze e ispirazioni, da Giorgio La Pira a Giuseppe Dossetti. Perché questo? Intanto perché il “Padre Superiore” Fabio Fazio, lungi dall’esercitare il suo ruolo di “frusta” ha ripiegato su quello di fiore, magari con qualche spina da poteri forti, ma sempre di fiore si trattava laddove le risposte a mitraglia concedevano lo spazio alla domanda. Ed ecco la domanda, si sospetta concordata.

Su Bettino Craxi ed Enrico Berlinguer, sul decisionismo in politica, quello di Craxi, tanto per dire. Non è forse un decisionista Renzi? Appunto. Ma ecco che la macchinetta delle risposte procede in tutta fretta, svicola, sfugge, e preferisce seccamente Berlinguer; “perché è una risposta facile”. È vero, è facile rispondere così, sopratutto se la domanda da porre subito alla mitraglia parlante fosse consistita in un semplice semplice: “Davvero così facile preferire Berlinguer? E perché?”. Bastava, appunto, rimembrare la portata storica del decisionismo craxiano del Decreto di San Valentino (1984) e la risposta di lotta dura del referendum voluto da Berlinguer e perso clamorosamente nel 1985. E invece, niente, nessun disturbo al manovratore, non si interrompe il Premier. Berlinguer, che deriva dalla tradizione, sconfitta dalla storia, di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, è un’icona, un quadro di devozione, un’immaginetta. Su Bettino Craxi, della tradizione di Filippo Turati, Giuseppe Saragat, Pietro Nenni che ha vinto, silenzio interessato. Poteva chiedergli, en passant: “Ma lei, caro Renzi, ha aderito ai socialisti europei per convinzione o per opportunismo?” Figuriamoci, una domanda sull’opportunismo. Ma quando mai.

È proprio vero che a dare le risposte sono capaci tutti. Per le domande, ci vuole il genio.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22