Quell’eterno stimolo della… domanda

Come spesso ho avuto modo di scrivere su queste pagine, tendenzialmente i politici sono keynesiani molto più per interesse di bottega che per una intima convinzione culturale. In soldoni, l’idea di stimolare la domanda aggregata attraverso una qualche distribuzione a pioggia di risorse fa sempre molto trendy per i nostri paladini del bene comune, perennemente in caccia di voti.

Mentre la prospettiva di sostenere l’offerta, azione che in estrema sintesi si dovrebbe basare su un taglio strutturale di spesa pubblica e tasse, non viene presa minimamente in considerazione dal nostro desolante mainstream politico-burocratico, trattandosi di una evidente impostazione dai risvolti piuttosto impopolari ( soprattutto laddove si decida di usare l’accetta per ridurre i costi dello Stato leviatano). Ovviamente a questa legge aurea della cosiddetta democrazia acquisitiva non poteva sfuggire il premier Renzi, il quale – nonostante il clamoroso fallimento della “scossa” tentata con i famosi 80 euro – si ostina a raschiare il fondo del barile di una liquidità sempre più virtuale, onde mettere altri quattrini nelle tasche degli italiani, come si suol dire. Da qui nasce l’ultima delle proposte keynesiane elaborate dall’illusionista di Palazzo Chigi: consentire ai salariati del settore privato di percepire direttamente in busta paga metà del trattamento di fine rapporto, o liquidazione che dir si voglia. Ora, al di là delle ulteriori difficoltà che un simile provvedimento creerebbe alla aziende sotto i 50 dipendenti, alle quali è consentito di gestire questo significativo deposito di liquidità, tale ennesimo stimolo della domanda – qualora andasse in porto – è destinato a naufragare nel mare magnum di una crisi economica strutturale, e per questo molto endogena, che avrebbe bisogno di ben altro per essere superata.

Occorrerebbe invece riequilibrare una situazione nella quale l’eccesso di Stato e di fiscalità rende poco attrattivo ogni forma di investimento produttivo, deprimendo costantemente l’economia proprio dal lato della summenzionata offerta. Da qui la miopia di una intera classe politica che, proprio in forza di questo continuo sbilanciamento sul piano di un keynesismo di maniera, tende a favorire lo sviluppo di una società con molti consumatori e ben pochi produttori di reale ricchezza.

Ricchezza reale che rappresenta il frutto di un corretto impiego delle risorse umane e materiali e che, pertanto, non può essere costantemente drogata da iniezioni di moneta ricavata da tasse, debiti e ridicole partite di giro, come nel caso in oggetto del Tfr. La strada maestra per tornare a crescere passa altrove, caro primo ministro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29