Dai talk a Padoan:  rottamazione sui generis

Ci capita sovente, causa programmi ripetitivi se non sconsolatamente intercambiabili nell’overdose di talk quotidiana, di soffermarci su uno dei vari momenti riflessivi che di volta in volta i canali Rai News e TgCom24 offrono alle vittime spossate di quella che il sempre grande - anche nelle invettive - Carlo Freccero definisce la tivù della pancia, la televisione generalista degli anziani e del proletariato, dei coatti in cerca di promozione sociale. Ciò, tra l’altro, non rende così lineare la faccenda, ché, a volte, il freccerismo s’amuse nella tarda versione accademica dell’accademicismo generalista del modernismo d’antan. Ma questo è un altro discorso.

Quello vero, di discorso, trascende addirittura i talk-show scottanti, persino il quartetto (consentiteci questa breve digressione) di Santoro/Travaglio/Sallusti/Martelli dell’altra sera in una sorta di labirintico gioco dei quattro cantoni in cui, alla fine, non si capiva più chi e perché in quella trattativa Stato-mafia fossero le guardie e i ladri, ovverosia Riina come Mori? O Mancino bugiardo come Scalfaro? Ciancimino junior perseguitato o persecutore? Napolitano (noblesse oblige) ora elevato agli altari purissimi e limpidissimi oppure con sotto il mantello regale qualche residuo di sospetto, del rimosso che ritorna, come “non poteva non sapere”? Ah, saperlo! dice l’immenso Dagospia. Intanto, però, pur provando in noi la dolorosa assenza di Leonardo Sciascia, ci accorgiamo a volta che, per fortuna, il sommo maestro siciliano riecheggi in Massimo Bordin, in uno dei suoi preziosi “Bordin Line” sul “Il Foglio” laddove, infine, commentando, sciascianamente ironico, la leggendaria/famigerata trattativa - con il rimosso sospetto riportato alla luce - se ne esca con una spiegazione voltairiana di quel labirinto dei quattro cantoni, divenuti quattro se non otto processi destinati a confluire in un altro prossimo venturo a sua volta aggrovigliato in altri cantoni, sospetti, depistaggi, misteri, segreti ecc. Geniale! Fine della digressione.

Qui ed ora ci interessa la rottamazione renziana che abbiamo sempre considerato, già dalla primarie perse dal giovane, allora sindaco fiorentino, come un qualcosa di necessariamente distruttivo soprattutto nei confronti del concorrente “rottamatore massimo” Beppe Grillo, con la differenza che Matteo voleva il ricambio del “vecchio” mentre il comico genovese la distruzione del “tutto”, finendo costui (oggi) col danneggiare irreparabilmente se stesso e il suo movimento in preda ad irreversibili convulsioni. Ma il punto della rottamazione renziana offre uno spunto di ironia, peraltro rispettosa, osservando con attenzione proprio quelle riflessioni televisive da cui siamo partiti. In una di queste, nella notte inoltrata, ci hanno spiattellato una ponderosa risposta del ministro Padoan in Parlamento a proposito della situazione della legge di stabilità, di questa croce e delizia delle finanziarie annuali che affliggono il nostro mondo da decenni, con una costante più affliggente di tutte: le tasse allegate, ancorché negate.

Ora noi, a differenza degli economisti, ci tratteniamo da giudizi ultimativi perché ignoranti, ma non al punto di non avvertire nell’aria l’inconfondibile sapore della continuità fiscale, dato e non concesso che, ad eccezione di Reagan e della Thatcher e in parte di Blair e Schröder, non si ricordano tagli gordiani altrettanto decisi ed epocali. Figuriamoci da noi. Ma non è neppure questo dettaglio che ci sta a cuore su Padoan, il quale è diventato, a tutti gli effetti, la colonna portante dell’intero ministero Renzi, ad eccezione del leader a Palazzo Chigi, beninteso. Padoan assomma ruoli multipli nel Governo, ministeri accorpati, competenze e responsabilità che già il valtellinese Tremonti gestì con la ferrea determinazione del dominus, spalleggiato da Bossi, nell’inquietudine sospettosa del Cavaliere e nel mutismo mugugnante degli allora ministri della spesa lasciati fuori dalla porta di ferro di Giulio.

Padoan è, del resto, un economista coi fiocchi, dalla vasta e riconosciuta valenza ed esperienza internazionale, dalla consapevolezza di un ruolo cardine, dalla temperata disillusione di un tecnico prestato alla politica della quale, tuttavia, conosce il senso dell’onnicomprensività come regno del possibile e impossibile. Ora, il punto vero, la domanda che sorge, l’interrogativo che ci poniamo riguarda il nuovismo che la frenetica corsa renziana ha imposto e che la innerva mediaticamente con una velocità, non solo delle battute ma del cambio dei set, dalla De Filippi alla D’Urso a Del Debbio (tutti Mediaset!). Un nuovismo che avanza nel segno della mobilità del mattatore demiurgo, in una corsa e rincorsa del tempo sfuggendo all’immobilità che respinge l’immobilismo, il vero nemico ancestrale da battere.

La squadra renziana è modellata su questo stile, non solo della velocità, ma dello stile in sé, persino della venustà femminile (vero ministro Boschi?); e di certo non sarà una donna a capo degli Esteri considerata la scelta caduta su Gentiloni. Ma se questa è la linea generale di Matteo, se il Renzi’s touch è il nuovo, la rottamazione delle vecchie carcasse politiche, il dolce stil novo che piace alla gente che piace, la velocità del cambiamento, la gioventù dei garretti, consentiamoci una pausa riflessiva.

Ma come mai il non giovane e neppure giovanilistico Padoan, che con la concretezza d’esperienza professorale di servizio appare decisamente fuori da questi modelli, è la roccia, la colonna dell’Esecutivo, della squadra di Governo più nuova, più giovane, più veloce, più gradita nei selfie, in nessuno dei quali, peraltro, s’è visto Padoan? Che risieda in questa assenza la risposta ai nostri interrogativi? Ah, saperlo!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:20