“Patto del Nazareno”   e gelo della ragione

Sarà certamente un nostro limite, ma francamente non comprendiamo l’esultanza dei dirigenti di Forza Italia per il nuovo accordo del Nazareno. L’atteso incontro tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si è concluso, ieri l’altro, con la diffusione di un comunicato nel quale si conferma la solidità del patto nonostante il permanere di alcune divergenze su aspetti specifici della legge elettorale in discussione.

La soluzione delle questioni di dettaglio sarebbe stata demandata ai tavoli di trattativa ancora aperti. I punti sono due: il premio di maggioranza alla lista che raggiunge il 40 per cento delle preferenze e non più alla coalizione; l’abbassamento della soglia d’ingresso al 3 per cento dei consensi ottenuti per tutti i partiti in lizza. Altro che quisquilie! Se passa una legge elettorale così concepita per il maggior partito del centrodestra sarà un clamoroso suicidio politico. Giacché pensiamo che Berlusconi non sia impazzito, siamo spinti a ritenere che, a fronte di questo sacrificio capitale, siano state definite altre forme compensative.

Probabilmente, come sostengono i ben informati, la resa del vecchio leone di Arcore all’armata renziana è bilanciata dalla promessa di essere ammesso al negoziato per la scelta del prossimo capo dello Stato. Se fosse vero, sarebbe legittimo chiedere a quelli di Forza Italia: ma è davvero così decisivo trattare sul nome del nuovo presidente, al punto da condannarsi a un più che probabile ridimensionamento nelle prossime urne? A noi, che di giochi di palazzo ne capiamo poco o nulla, sembra una follia. L’idea del combinato disposto di un partito che per effetto di un premio elettorale divenga maggioranza assoluta in Parlamento mentre tutti gli altri debbano spartirsi il residuo 45 per cento della rappresentanza parlamentare non convince.

Come effetto immediato si produrrebbe la frantumazione dell’opposizione a vantaggio della stabilizzazione della maggioranza di Governo. E senza una strutturata opposizione il Paese conoscerebbe quella deriva autoritaria di cui parlava il direttore Arturo Diaconale nell’editoriale di ieri. Con questa legge la meccanica democratica dell’alternanza tra due macro forze che si contendono il Governo del Paese va a farsi benedire. Si rischia di precipitare in una condizione che la nostra Repubblica non ha mai conosciuto. Anche quando c’era la Democrazia Cristiana, partito interclassista inclusivo di molti segmenti della società, esisteva un contrappeso a sinistra garantito dalla presenza del Partito Comunista.

Renzi punta al “partito della nazione” con l’ambizione di assorbire quella vasta area del moderatismo italiano che, negli ultimi vent’anni, è stato rappresentato dal centrodestra. In questo scenario anche Forza Italia, oltre alle micro formazioni centriste che hanno già da tempo esaurito la loro funzione, risulterebbe pleonastica rispetto all’offerta proveniente dal nuovo soggetto politico renziano. Se non c’è significativa differenza, si chiederebbero gli elettori, perché disperdere il voto sul già sperimentato Berlusconi e non dare maggiore spinta al più giovane e gagliardo fiorentino già lanciato sul percorso delle riforme strutturali?

Da tempo sospettiamo che la famosa lettera di Sandro Bondi fosse qualcosa di più di uno sfogo di uno squinternato. A Bondi abbiamo sempre riconosciuto eleganza nei modi e lucidità nel ragionamento. All’orizzonte di questa stagione politica c’è forse la sua idea di sciogliere Forza Italia per confluire nel partito della nazione? Benché questa opzione abbia la sua dignità, non vuol dire che costituisca necessariamente la migliore, e più desiderabile, soluzione. Non è ricevibile perché minaccia la sopravvivenza dello spazio politico occupato dalla destra liberale.

Siamo convinti che attrarre in un unico soggetto l’elettorato moderato spingerebbe a una radicalizzazione innaturale del consenso degli esclusi dal benessere - i nuovi poveri che vivono un disagio sociale insostenibile - verso forme antagoniste della rappresentanza politica. La nostra società, già dilaniata dalla crisi, si spaccherebbe in modo insanabile tra coloro che posseggono, molto o poco, e quelli che non hanno più nulla. Quanto potrebbe reggere il patto sociale venendo meno l’elemento della coesione con uno scontro dirottato sul piano escludente della conquista del potere? Ma a queste cose Berlusconi pensa? E se ci si pensa, allora che sta combinando al Nazareno?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:24