La nuova Lega Nord  ed i problemi di Salvini

Il problema di Matteo Salvini non è quello di evitare i riciclati. Un altro Matteo, quello che è presidente del Partito Democratico e si chiama Orfini, ha ironizzato sull’operazione riciclo che il segretario della Lega starebbe avviando puntando a scavalcare la Linea Gotica e ad espandere il proprio partito nel sud del Paese. Ma la sua è un’ironia infondata. In politica il riciclo è inevitabile. Se non avesse riciclato i giovani della sinistra fascista, Palmiro Togliatti non avrebbe mai trasformato il Pci nel “partito nuovo”. E se Orfini, che proviene da quella tradizione, non conosce questo esempio dimostra di essere non solo arrogante come il suo ex mentore Massimo D’Alema, ma anche ignorante come una zucchina.

Per Salvini, dunque, il problema non è quello dei riciclati che hanno alle spalle delusioni ed insoddisfazioni sedimentate negli anni di militanza in Alleanza Nazionale o in Forza Italia. Il problema, o meglio, i problemi, sono quelli dell’identità del nuovo soggetto politico a base meridionale e delle alleanze con le altre forze del centrodestra. Se l’identità a cui il leader leghista pensa è quella dei cosiddetti popoli diversi, il rischio che corre è di dare vita ad una sorte di riedizione del qualunquismo meridionale buono per raccogliere voti in occasione delle prossime elezioni regionali (o politiche che siano), ma destinato ad esaurirsi nel giro di poco tempo.

Al Sud l’unica identità che sia riuscita ad uscire dal folklore e dal localismo per assumere un valore politico serio e stabile è quella nazionale. E se Salvini vuole seguire l’esempio di Marine Le Pen e trasformare il suo partito in un soggetto politico non marginale ma in grado di guidare il Paese, non può che seguire il percorso del rilancio dell’identità nazionale. Questo comporta un’inevitabile contaminazione del leghismo padano originario. Ma è il passaggio inevitabile per dare vita ad un movimento politico in grado di mettere insieme “questione meridionale” e “questione settentrionale” ed usare la “questione nazionale italiana” come strumento per uscire dalla crisi provocata dal fallimento dell’Europa dei burocrati e dei grandi interessi finanziari.

La “nazionalizzazione” della Lega, seguendo l’esempio del modello lepenista, può anche portare Salvini a diventare il leader di un centrodestra in cui figurano più formazioni politiche. Ma pone automaticamente il problema di quali alleanze la nuova Lega nazionalizzata è obbligata a stipulare se vuole diventare la guida di uno schieramento alternativo alla sinistra attualmente al governo.

Salvini sa bene che l’area politica in cui il suo movimento ispirato ad un lepenismo italiano può espandersi è quella occupata in passato da Alleanza Nazionale. E sa altrettanto bene che a quest’area, potenzialmente del 15-20 per cento, si deve obbligatoriamente affiancare un’area d’ispirazione liberal-democratica che, come dimostra l’esistenza di Forza Italia, ha una consistenza più o meno simile. Da sola la Lega di Salvini può essere una forte minoranza. Insieme alla parte al momento ancora maggioritaria del centrodestra può superare il 30 per cento e diventare la sola ed unica alternativa al renzismo ormai calante.

L’identità nazionale, dunque, consente alla Lega di espandersi ma provoca automaticamente la definizione dei confini della sua espansione. Al tempo stesso rende indispensabile l’alleanza con la parte d’ispirazione liberal-democratica che continua ad avere come punto di riferimento Silvio Berlusconi. Tra queste due componenti si aprirà sicuramente un problema di egemonia. Ma non nel presente. Sempre che, naturalmente, i liberaldemocratici berlusconiani sappiano mantenere le posizioni e si convincano che i valori di cui sono espressione sono destinati comunque a non essere dispersi!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26