L’eterna mitologia   che circonda l’outsider

Giuliano Ferrara, di cui apprezzo da sempre le molte capacità, ha tuttavia confermato la sua antica vocazione a schierarsi machiavellicamente col principe di turno nel corso dell’ultima puntata del pollaio televisivo condotto da Michele Santoro. Da questo punto di vista, giudico piuttosto imbarazzante il suo sperticato elogio per le qualità politiche di Matteo Renzi, considerato dal direttore de “Il Foglio” l’ennesimo outsider, al pari di Craxi e Berlusconi, in grado di generare nel nostro sistema incancrenito solide speranze di cambiamento.

In verità, analogamente a Ferrara, conosco altri autorevoli personaggi i quali, pur ammettendo una certa inconsistenza nella sua linea di governo, hanno visto nell’attuale Presidente del Consiglio una sorta di rivoluzionario soft, orientato a combattere i tanti poteri forti che ingessano la Repubblica all’interno di un rassicurante perimetro istituzionale.

Dunque, secondo questa gente, il fine di scoperchiare il putridume della vasta consociazione che si oppone a qualunque seria riforma, giustifica ampiamente il mezzo di un giovane parolaio di belle speranze il cui principale merito, come sottolineato da Ferrara nel corso di “Servizio pubblico”, sarebbe quello di avere quasi tutto il vecchio establishment contro, o almeno così egli cerca di far apparire. Di conseguenza dobbiamo dedurre che l’ex sindaco di Firenze sta semplicemente utilizzando i metodi e i quattrini - tra l’altro con ancor maggior spregiudicatezza rispetto a chi lo ha preceduto - della cosiddetta democrazia acquisitiva, nella quale ci si compra il consenso a colpi di spesa pubblica, solo per il nobile scopo di rinnovare dall’interno un regime oramai giunto alla bancarotta morale ed economica. E se invece le cose stessero esattamente all’opposto rispetto a ciò che Ferrara e altri machiavellici renziani pensano? Ossia che in realtà la bella illusione del cosiddetto governo migliore rappresenti invece una sorta di ultima e gattopardesca spiaggia per i soci vitalizi di un sistema assistenziale e burocratico moderato nei toni e molto estremista nei pubblici sperperi?

A mio modesto parere, in Italia si vaneggia troppo intorno alle presunte, salvifiche intenzioni dei tanti salvatori della patria in circolazione, quando in realtà a costoro sembra interessare unicamente il consenso a buon mercato che li tiene in sella. E non mi pare che l’animale politico che occupa Palazzo Chigi dimostri qualcosa di radicalmente diverso.

Le regole della citata democrazia acquisitiva sono spietate, e solo un coraggioso uomo di Stato - disposto a giocarsi lo stesso consenso non per un bene astratto dei cittadini, bensì per rendere la presenza dello Stato compatibile con la ripresa dell’economia - potrebbe tentare una riforma dolorosa e complessiva del sistema.

Una riforma dai forti connotati di impopolarità che le scelte e i numeri che caratterizzano il ministero Renzi smentiscono categoricamente. Uno statista che volesse veramente contrastare la grande consociazione politico-burocratica che alimenta una spesa pubblica da regime sovietico non continuerebbe a regalare quattrini a pioggia e a raschiare il barile della fiscalità. Uno statista autentico, in Italia, cercherebbe di realizzare ciò che prima o poi la Troika ci obbligherà a fare, con o senza illusionisti al Governo. Altro che Machiavelli.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11