Salvini e la campagna  di primavera leghista

La settimana politica è iniziata bene per Matteo Salvini. Se qualcuno aveva sperato in chissà quale terremoto all’interno della Lega per la sortita di Flavio Tosi ha fatto male i propri calcoli. Il Consiglio federale dell’altro giorno ha sancito una verità che è scolpita sulla pietra: il partito, tutto, è nelle mani del giovane leader meneghino. Punto.

Il voto unanime per la candidatura di Zaia alla presidenza della Regione Veneto e il sostanziale commissariamento della “Liga”, con la nomina di Giampaolo Dozzo, ex parlamentare trevigiano, a commissario ad acta per la composizione delle liste, dimostra che un conto sono i sogni, altro è la realtà. La linea politica di “Tombini di ghisa” ha attecchito nel profondo dell’apparato radicale leghista. L’idea di una lotta totale ai guasti sociali che il liberismo globale sta provocando, soprattutto ai ceti medi tradizionali, rappresenta qualcosa di più di un semplice programma elettorale acchiappavoti. Si tratta di una visione alternativa dei rapporti di produzione e del capitalismo che interrogherà le future generazioni di lavoratori e di imprenditori dell’intero Occidente. Ridurre il tutto a un banale vinciamo-o-perdiamo alle prossime amministrative è un errore dal quale gli altri partner del centrodestra non riescono ad affrancarsi.

Quando Berlusconi si dice furente perché non capisce Salvini c’è da credergli. Per il vecchio leone di Arcore il teatrino della politica dovrebbe rispondere a meccaniche semplici, quasi calcistiche: insieme si vince perché si fanno più punti degli avversari. Il fatto è che questa interpretazione delle dinamiche politiche è risultata perdente, a destra come a sinistra. Anche Berlusconi lo ammette. Mettersi tutti insieme per fare risultato e, il giorno dopo, cominciare a litigare sul cosa fare non ha pagato. Al contrario, ha condotto il progetto del centrodestra berlusconiano a essere classificato come la più deludente impresa della storia della Repubblica. Questo Salvini l’ha capito fin troppo bene. Nessuna meraviglia allora se insista sul fattore coerenza quale chiave di volta per la ricostruzione di una destra di governo. Ne consegue che chiunque voglia accordarsi col nuovo Carroccio, Berlusconi compreso, debba farlo alle condizioni imposte dal suo leader. Altrimenti, dovrà tentare l’avventura della scialuppa dei naufraghi centristi. Ma con quali possibilità di successo visto che Renzi con le sue politiche sta conquistando il consenso dei moderati?

E Tosi? A lui Salvini ha concesso un breve lasso di tempo per riflettere sul cosa fare da grande. Il sindaco di Verona dovrà dire se è ancora organico al movimento o se, invece, ne è fuori. Il tentativo di condizionare il futuro governo leghista del Veneto, imponendo una squadra di consiglieri regionali a lui vicini, è fallito. Ora Tosi potrebbe essere tentato dall’avventura in solitario ponendosi a capo di un raccogliticcio schieramento di “scaricati” del centrodestra. Cosa in verità assai improbabile visto che per primi quelli del partito di Alfano non vorranno farsi da parte compiendo scelte suicide per cui alla fine accetteranno di essere intruppati in un listone civico pro-Zaia. Primum vivere deinde philosophari, ribadiranno i centristi veneti ai loro leader nazionali. Ovviamente ciò vale anche per Tosi. Nessuna meraviglia, allora, se dovesse decidere per un temporaneo passo indietro in attesa di tempi migliori. D’altro canto è noto che la vendetta sia un piatto da servire freddo. Per questo Salvini dovrà essere molto più accorto per il futuro perché Tosi se lo ritroverà davanti quando meno se lo aspetta. E non sarà per prendere un caffè.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18