E Matteo Renzi pensa   solamente al rimpasto

Con la strage di Tunisi il nostro Paese conta i suoi primi morti civili nella guerra dichiarata dal fondamentalismo islamista contro le democrazie occidentali. Ma la preoccupazione maggiore del nostro Presidente del Consiglio non sembra essere quella di reagire al messaggio di morte che viene da cento miglia di distanza dalle coste italiane. I suoi pensieri sono tutti concentrati sul timore che il caso Lupi possa gettare una qualche patina di fango sull’immagine di un governo che, nella sua autoagiografia, viene dipinto come un campione di lotta ad ogni forma di illegalità.

Renzi non pensa ai fichi di Catone, che giungevano ancora freschi da Cartagine a Roma. Ed alla probabilità sempre maggiore che il terrorismo possa scavalcare il Canale di Sicilia con la stessa rapidità dei fichi dei secoli passati. Pensa, piuttosto, al rischio che l’inchiesta di Firenze possa far saltare quella copertura di legalità data al governo attraverso la promessa di pene più severe e prescrizioni infinite contro e la trasformazione del suo Raffaele Cantone nella foglia di fico giustizialista del proprio premierato.

Non è affatto escluso, allora, che l’ossessione di Renzi per la propria immagine lo spinga a passare dal gelo alla rottura nel rapporto con il ministro delle Infrastrutture. E poiché il Nuovo Centrodestra non ha la forza di reagire aprendo una crisi di governo che potrebbe sfociare nelle elezioni anticipate e nella sua scomparsa, non è affatto escluso che lo sbocco della vicenda possa essere un complessivo rimpasto di governo con il ridimensionamento degli alfaniani e dei rappresentanti della scomparsa Scelta Civica. Tutto nel bel mezzo della definitiva conferma che il fondamentalismo islamista ha deciso di allargare la propria guerra alle democrazie a tutto il bacino del Mediterraneo?

L’ipotesi che Renzi pensi ad accentuare il carattere di monocolore Pd del proprio governo in una fase internazionale così turbinosa non è affatto peregrina. Normalmente, di fronte ad emergenze drammatiche come quelle di una guerra dichiarata o di un pericolo esterno sempre più incombente, in qualsiasi paese democratico avviene l’esatto contrario. La classe politica e dirigente si ricompatta e tenta di dare al paese un esecutivo più ampio e rappresentativo possibile per evitare divisioni dannose rispetto al pericolo incombente.

Ma la nostra è ancora una democrazia liberale o si è definitivamente trasformata in uno di quei regimi personalistici che provocano una involuzione autoritaria del sistema politico?

I dirigenti del Nuovo Centrodestra, che pur di evitare di dare al Premier il pretesto per le elezioni anticipate sarebbero disposti a sopportare qualsiasi umiliazione, dovrebbero riflettere su questo interrogativo. Piegare la testa può assicurare la sopravvivenza temporanea, reagire con dignità può garantire la ragione di vita anche nella prossima legislatura.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:13