Tv: quando il male  cambia le classifiche

Una volta, quando una breaking news irrompeva nel tran tran televisivo, si drizzavano le antenne uditive per l'ansia dell'attesa del disastro annunciato dalla striscia o sottopancia che dir si voglia. Ma adesso le cose non funzionano così, le strisce sono tante, si inseguono, capitano, si sovrappongono a sproposito.

Ma la notizia straordinaria che l'altro giorno è sopraggiunta dalla Tunisia, ha almeno avuto l'effetto di imporre una divisione fra una notizia e l'altra, fra un fatto e l'altro, fra Tunisi col sangue italiano versato e Roma con il caso Lupi imperversante a causa delle intercettazioni. La ferocia del male contro gli inermi ha improvvisamente reclamato il suo trono di sangue nella falsa gerarchia di quei mass media che non riescono più a sfuggire all'autoreferenzialità, presi come sono dalla inopinata (un tempo) mission di imporre l'agenda alla famigerata casta ottenendo così un salvacondotto permanente dai Pm, insieme con l'audience che s'impenna. Anche se, poi, non s'impenna più. Ma tant'è.

Faceva una certa impressione l'altra sera in un telegiornale la seriosità compunta nell'informazione articolata dell'ennesima infamia dell'Isis che ci riguarda così da vicino in tutti i sensi e, di colpo, il passaggio di notizia col cambio di tono per atterrare sull'affaire Lupi con annessi e connessi. Lo stridore del cambio di passo ha imposto una classifica completamente diversa, una distinzione starei per dire etica fra i diversi casi, ribaltandoli nell'importanza, riconduceli alla loro realtà effettiva.

Ci si è accorti della grandiosità del male e della sua banalità, della forza delle cose e della piccolezza delle parole, della tremenda guerra che si va allargando fino a Roma (il museo di Tunisi è un inno alla romanità) e dei richiami che comporta, innanzitutto alla nostra capacità, anzi, obbligatorietà di distinguere i fatti, i casi, le parole. E le responsabilità. Si è all'improvviso offerto nella sua grettezza micragnosa.

Il provincialismo di una certa informazione mediatica, come una sorta di tabe che ci portiamo addosso insieme alla faziosità millenaria di un Dna che raramente riesce a riscattarsi salvo che nelle tragedie collettive. E la tragedia di Tunisi è, forse, una di queste. E l'informazione, dai tiggì ai talk-show, forse, sarebbe così ricondotta ad una dimensione più consapevole, diciamo pure responsabile, magari facendo del caso Lupi l'occasione di un approccio diverso ai rapporti fra giustizia e politica e, nella fattispecie, al "fenomeno" delle intercettazioni. Ne dubitiamo, ma intanto l'impegno di Lupi di volerne parlare in Parlamento non è certo di poco rilievo e, probabilmente, potrebbe indicare una del tutto inedita strategia di difesa dall'indifendibile, ovvero la piaga delle intercettazioni riversate su mass media.

Che è stata ripetutamente messa all'indice da questo giornale e da pochi altri, anche se, di recente, diventano numerosi gli adepti. Perchè il pubblico ha sempre più bisogno di succhi proibiti e i mass media ne sono gli osti, ma la sostanza da far ingoiare è preparata in altre stanze, da altri alchimisti: i Pm. Ai quali è stato dato un potere abnorme non solo in virtù di intercettazioni di inchieste rese pubbliche con l'effetto di colpire e affondare un politico, anche se non indagato, ma di poter avviare un'indagine (avviso di garanzia) su un politico candidato trasformandolo ipso facto in un incandidabile, come esigono giacobini, giustizialisti e forcaioli sparsi ovunque, imperversanti nei mass media e formatori di opinione pubblica.

Gli stessi giornali che pure stigmatizzano le intercettazioni a strascico accusano l'ormai proverbiale doppiopesismo renziano e del Pd, mettono le foto di sottosegretari indagati ma lasciati al loro posto mentre per Renzi o per altri la musica è diversa. Il punto è che il potere interdittivo dell'accusa è tale soprattutto nei confronti della politica. Dato e non concesso che l'accusa non è altrettanto rigorosa nei confronti di se stessa, cioè cane non mangia cane, pochi rilevano che, da anni, le responsabilità politiche vengono trasformate in responsabilità penali in virtù del combinato disposto dell'avviso di garanzia e/o delle intercettazioni.

L'indagato è di per sé criminalizzato e dato in pasto alla "ggente" infuriata, messo all'indice e in teoria non potrebbe neppure candidarsi, per l'intercettato idem come sopra, e nemmeno con l'avviso di garanzia, come nel caso di Lupi. Bisogna parlare di queste faccende, a viso aperto, in tivù, soprattutto in Parlamento. "Immaginiamo che io sia un giudice con opinioni politiche ben precise e che mi diano l'immenso potere che, solo aprendo un procedimento, impedisco ad un avversario di candidarsi...". Sono parole di Felipe Gonzales.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10