Dall’Onu soltanto  pedate per l’Italia

Dalle nostre parti - meridionali - per indicare uno che non capisce nulla, o finge di non capire, si dice: “scambia i fischi per applausi”. È ciò che pensiamo di Matteo Renzi.

Il nostro premier vuol fra credere agli italiani che sul fronte del contrasto all’immigrazione clandestina l’Italia stia vincendo la sua partita perché “non è più sola”. Ci dica, il Presidente del Consiglio, dov’è che proiettano questo film fantasy che di sicuro vorremo vederlo. Ma siamo seri! Renzi ha voluto un vertice europeo sull’onda emozionale della tragedia dell’affondamento del barcone con 700 disperati, nel Canale di Sicilia. Cosa ha ottenuto dai partner dell’Unione? Il resto di niente. Ieri l’altro ci ha provato con il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in visita in Italia, e ha fatto ugualmente buca. L’ineffabile rappresentante delle Nazioni Unite ha detto chiaro e tondo: dovete soccorrere gli immigrati senza prendere altre iniziative. Niente azioni militari sotto l’egida dell’Onu, niente affondamento preventivo dei barconi sulle coste libiche e, soprattutto, niente intromissione nella guerra civile che sta squassando il Paese nord-africano. Insomma, il resto di niente.

Forse, ma molto forse, ci sarà un tentativo d’intercessione presso altri paesi europei perché si facciano carico di una minima porzione di clandestini. Ma il problema, nella sua gigantesca dimensione umanitaria e geopolitica, resta sulle nostre spalle. L’improvviso irrigidimento di Ban Ki–moon non è affatto casuale. La politica internazionale è il prodotto di una delicata miscela fatta di priorità, di interessi e di rapporti di forza. L’Italia al momento è piuttosto debole. Non è un Paese detentore di fondamentali materie prime e non è più, sullo scacchiere mondiale, il riferimento per realtà statuali minori come lo è stato in passato. Non è più niente.

Eppure, quando si è trattato d’intervenire in teatri bellici sotto le insegne delle Nazioni Unite non ci siamo tirati indietro. Ad essere precisi, siamo tra i primi al mondo nella classifica dei contributori in fatto di contingenti militari di pace. Nonostante ciò, non siamo ascoltati. Lo si è visto in altre spiacevoli circostanze. Con la storia dei marò, ad esempio. Anche in quel caso gli inquilini del “Palazzo di Vetro” non hanno mosso un dito per convincere l’India a rientrare nella legalità internazionale. Perché, sulla questione libica, la comunità internazionale non interviene? Semplicemente perché su quel territorio si sta assistendo a un regolamento di conti tra Paesi arabi sunniti. Ogni fazione in lotta ha uno sponsor che la protegge, la finanzia, le fornisce armi. E i libici? Si scannano tra connazionali per la supremazia in uno Stato che è divenuto terra di nessuno, ma su di una cosa sono tutti d’accordo: non vogliono italiani tra i piedi. È probabilmente questo il messaggio recapitato all’Onu dalle cancellerie dei Paesi in gioco. Da Riad, ad Ankara, da Khartoum a Doha. Si dirà: ma hanno cuore questi governanti per il dramma che si sta consumando tra le coste africane e quelle italiane? Quando mai è fregato qualcosa degli ultimi a leader carismatici e monarchi assoluti per i quali la democrazia è solo una malattia deformante dell’epidermide.

Se le cose sono messe così, che si fa? L’Italia ha dalla sua un’arma: minacciare il ritiro di tutti i contingenti dai fronti di crisi. Se non siamo nessuno, che se la sbrighino gli altri ad esporsi al fuoco incrociato per il bene dell’umanità. Tuttavia, per fare un passo del genere avremmo bisogno di avere un premier cucito con ben altra stoffa. Invece Renzi, come dicono a Roma, è solo un miserabile stracciarolo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11