Lettera ad Orlando sulla severità dannosa

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando dice che, per alcuni reati, occorre aumentare le pene. Anche il Presidente del Consiglio, prima di lui, ha detto che è necessario innalzare il tetto delle sanzioni per taluni comportamenti delittuosi. E, analogamente, molti esponenti politici o della cosiddetta società civile sostengono che è preciso dovere del Parlamento inasprire il trattamento riservato a chi viola la legge.

Insomma: se c’è una cosa sulla quale sembrano essere tutti d'accordo, quella è la necessità di incrementare il tasso di severità del codice penale. È una sciocchezza colossale, indegna di un Paese civile, inutile e (pure) pericolosa. Vede, signor ministro, per dimostrare a Lei e quelli che la pensano come Lei quanto sia grave l’errore che state per commettere e quali siano le conseguenze alle quali esponete il Paese che vorreste governare, non serve richiamare alla Sua - alla Vostra - attenzione l’inefficacia endemica delle grida di manzoniana memoria; neppure serve sciorinare i dati statistici consolidati del nostro e di altri Paesi dai quali emerge con inequivocabile chiarezza che all’inasprimento delle pene non corrisponde mai la contrazione dei reati.

Queste cose, signor ministro, Lei le sa già e le conoscono bene anche i Suoi amici. Quello che Lei non sa, o non vuole sapere, invece, è che in un Paese civile il diritto penale non può trasformarsi nel diritto del nemico o nella reazione emergenziale a fenomeni la cui origine e le cui cause non possono essere affrontate e rimosse con la semplice previsione dell’imprigionamento. Pensi alle nuove norme, quelle recentemente approvate, sul terrorismo, signor ministro. Lei pensa davvero che i reati di recente introduzione assicurino una maggiore sicurezza o consentano di meglio contenere (almeno) parte di coloro che dicono di combattere in nome di Allah? Non serviranno: lo so io e lo sa Lei. Anzi: lo sappiamo tutti. Sono norme inutili, il cui effetto, però, è quello di estendere oltre i limiti dell’accettabile le intrusioni nella sfera privata delle persone, le intercettazioni, le perquisizioni, i sequestri. E non dica che gli onesti non hanno nulla da temere. Proprio perché onesto, io ho ragione di temere l’indebolimento dei limiti al potere dello Stato e ho diritto di esigere che sia rispettato il mio diritto di fare quello che mi pare. Pochi anni fa (questo Lei dovrebbe ricordarlo) vi erano persone che, illuse di sconfiggere il crimine con lo strumento del processo penale, invocavano l’abbattimento dei limiti al potere di intercettazione. Voglio essere intercettato, dicevano, perché io non ho nulla da temere. Bene, ancora una volta: io non voglio essere intercettato, perché io sono nato in un Paese nel quale la Costituzione protegge le mie libertà. Io voglio essere certo che nessuno ascolterà le mie conversazioni.

Le leggi che Voi oggi sostenete sono un vulnus alla democrazia di cui pagheremo le conseguenze. Il diritto penale del nemico non è risposta degna di una Repubblica democratica. Pensi, anche, signor ministro, al fenomeno della corruzione. Non sono passati neppure tre anni dall’ultima riforma e ci ritroviamo al punto di partenza. La severità delle pene previste dalla cosiddetta Legge Severino non è servita a nulla, come dimostrano le statistiche. Eppure, il Governo dice di voler dare un ulteriore giro di vite. Si rende conto, signor ministro, della gravità delle cose che state per fare? Si rende conto, per dirgliela proprio tutta, che state usando il codice penale per assecondare la piazza o per raccogliere qualche manciata di voti in più? Le pare ragionevole intervenire a singhiozzo su reati che ci dimostrano quale sia la vera realtà della nostra Italia, ridotta alla prigionia da innumerevoli ed incomprensibili leggi controllate da un apparato burocratico più incrostato di quello sovietico? Voi farete delle sciocchezze e riempirete le carceri senza incidere sulla criminalità, che crescerà e si ridurrà per cause del tutto estranee al codice penale.

La legge ha sempre punito i corrotti: se, come sostiene qualche autorevole magistrato assecondato dal Presidente del Consiglio, in carcere ci sono pochi corrotti, la colpa non è della legge troppo mite. Lei questo lo sa bene. Abbia la compiacenza, signor ministro, di volgere, per un istante lo sguardo a nord, verso i democraticissimi Paesi scandinavi e si faccia dire qual è il tasso di corruzione, come si celebrano i giudizi, quali sono le pene inflitte. E come vengono scontate. Poi, se vorrà, ne riparliamo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11