Spagna e Polonia,  segnali per l’Italia

La scorsa domenica è stata giornata di elezioni amministrative in Spagna e presidenziali in Polonia. Ma si è trattato anche di un test sullo stato di salute dell’Unione europea. E il responso non è stato di quelli tranquillizzanti, almeno per i burocrati di Bruxelles. In Spagna ha vinto il movimento antisistema di sinistra “Podemos”. Tuttavia, un ottimo risultato l’ha conseguito la nuova destra di “Ciudadanos”. I due partiti che si sono divisi il campo politico fin dall’avvento della democrazia: il Psoe e il Partido Popular, hanno subìto una pesantissima flessione.

Alla luce dei risultati, le due città simbolo della Spagna: Madrid e Barcellona, saranno amministrate, probabilmente, da due donne di “Podemos”, Ada Colau e Manuela Carmena. Lo stesso avverrà in alcune regioni le quali sono passate dai popolari al nuovo movimento degli “indignados”. Anche in Polonia vi è stato un risultato inatteso, almeno dai sondaggisti che continuano a non azzeccarne una giusta. Lì ha vinto con buon margine Andrzej Duda, del partito Diritto e Giustizia, contro il favorito della vigilia e presidente uscente Bronislaw Komorowski.

Cosa ci dice questa domenica elettorale? Quello che si fiutava da tempo nell’aria ma che si è voluto negare bendandosi gli occhi: in Europa l’asse di potere che ha tenuto insieme destra e sinistra in un finto bipartitismo dell’alternanza è andato in crisi. I popoli dell’Unione mostrano chiaramente la tendenza a ricercare nuove identità politiche e ideali che siano non solo concorrenti nel governo della cosa pubblica ai partiti tradizionali dell’uno e dell’altro campo, piuttosto che segnino la discontinuità con un modello di Europa esclusivamente finanziaria e monetaria. Insomma, l’Europa delle regole di bilancio e dell’austerità inizia a stare stretta anche a quei “moderati” di cui tanto si favoleggia dalle nostre parti. In Polonia, Komorowski leader di “Piattaforma Civica” incarna una filosofia liberale che è stata sfiduciata nelle urne non a favore di una proposta progressista e riformista. Al contrario, la scelta di Duda, proveniente dalla stessa città natale di Giovanni Paolo II: Cracovia, segna la svolta verso una politica di destra ultranazionalista, ispirata al tradizionalismo cattolico, fortemente euroscettica.

Questi dati rilevano l’andamento centrifugo di crescenti porzioni di elettorato, già presente in altri paesi, rispetto al paradigma bipartitico socialisti-popolari. Il voto in Grecia per Alexis Tsipras, i successi francesi di Marine Le Pen e l’affermazione italiana, nel 2013, del movimento antisistema dei Cinque Stelle di Beppe Grillo, confermano il trend. Piaccia o no, nelle aree dell’Unione dove la crisi economica e sociale di questi anni è stata maggiormente avvertita si manifesta una volontà popolare a cercare nuove declinazioni per la convivenza comunitaria. Quando ciò non avviene attraverso la spinta dei cittadini si scade, come da qualche anno sta accadendo in Italia, verso l’apatia politica che genera astensione dal voto. È ovvio che in sede europea non assisteremo, nell’immediato, a grandi cambiamenti di rotta per arginare il fenomeno. La macchina di Bruxelles è troppo farraginosa e testarda per essere in grado di autocorreggersi in breve tempo. Questa fase, d’altronde, è destinata a durare prima di esaurirsi.

Nessuna meraviglia, dunque, se anche domenica prossima nelle urne italiane si produrrà qualcosa di molto simile a quello visto l’altro ieri in Spagna e in Polonia. Non sarà un problema per gli italiani. Lo sarà invece per Renzi che inizia a temere, a dispetto della sua seducente fantasia narrativa, di beccare una legnata pazzesca.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11