Le Regionali e la sorte del “Partito-nazione”

È fin troppo illuminante l’insistenza con cui Matteo Renzi e Maria Elena Boschi ripetono che i risultati delle elezioni regionali di fine settimana non incideranno in alcun modo sulla stabilità del Governo. Indica con estrema chiarezza che più si avvicina la data del 31 maggio, più cresce il nervosismo a Palazzo Chigi. Non per la sorte a breve dell’Esecutivo. Che non verrà comunque compromessa neppure se il 4 a 3, ipotizzato dal Premier per mettere le mani avanti e prepararsi a cantare vittoria anche in caso di sconfitta, si dovesse mai realizzare. Ma per i contraccolpi che un risultato diverso da quella marcia trionfale che era stata pronosticata per il renzismo pigliatutto delle ultime elezioni europee potrebbe provocare sul cammino del Presidente del Consiglio.

La posta in palio delle Regionali non è il Governo. Che con i trasformisti in arrivo del vecchio centrodestra in Parlamento può sperare di andare avanti almeno fino a quando Renzi non troverà conveniente giocare la carta delle elezioni anticipate. Ma è il progetto complessivo attribuito al Premier, che prevede la formazione di un partito definito della nazione destinato a diventare il perno unico ed inamovibile della politica nazionale ed a trasformare la democrazia dell’alternanza dell’ultimo ventennio in una democrazia bloccata sul modello della Prima Repubblica.

Il rischio che il progetto renziano venga compromesso dai risultati elettorali delle Regionali passa attraverso due eventualità. La prima è che ci sia una forte astensione destinata a dimostrare che il Pd renziano non riesce ad intercettare il voto dei ceti moderati, indispensabile per dare vita al cosiddetto partito della nazione. La seconda è che se a determinare la sconfitta dei candidati sponsorizzati dal Premier in alcune regioni chiave, come la Liguria, fosse l’azione dei dissidenti interni del Pd non bilanciata dagli auspicati voti provenienti dal centrodestra, il disegno renziano subirebbe una sconfitta difficilmente superabile.

Il Premier, in sostanza, è condannato a ripetere il voto delle Europee. Qualunque risultato diverso da quel 41 per cento dimostrerebbe che il suo Pd non solo perde pezzi a sinistra, ma non recupera affatto sul centrodestra e non ha in alcun modo quella vocazione maggioritaria che potrebbe giustificare il passaggio dalla democrazia dell’alternanza alla democrazia bloccata. Di qui il nervosismo crescente. Perché è ormai evidente a chiunque che quel voto europeo è assolutamente irripetibile!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16