Il Parlamento ideale

Quando, scrivendo e parlando nel corso degli anni, ho criticato ferocemente, come meritano, il “Porcellum primum” (Berlusconi) e il “Porcellum secundum” (Renzi), mi sono talvolta sentito obiettare, dagli avversari in buona fede: “Ma non trovi davvero niente da salvare, visto che, analogia per analogia, è ben noto che del maiale non si butta nulla?” Ho sempre risposto che, sì, salvabile era la lista bloccata. “Come, come?”, era l’immancabile e stupefatta replica degli obiettori. In effetti, la mia risposta sembra contraddittoria. Ma, alla luce dei fatti e della dottrina liberale, non lo è.

Vediamo i fatti. I due “porcelli”, consentendo, in tutto o in larga parte, la nomina diretta dei parlamentari, mettono nelle mani dei capipartito il potere messianico di riempire il Parlamento con la crema della nazione. Il capo di ciascun partito può investire del mandato parlamentare chi gli pare e piace. Ha il potere assoluto di conformare la rappresentanza parlamentare a proprio gusto, in ogni senso: può gratificare un’amante o un amante; può restituire il favore a un amico o agli amici degli amici; può sistemare segretari, galoppini, famigli, consulenti; può accattivarsi un affarista, eccetera. I maligni insinuano che proprio ciò è accaduto, sebbene senza giungere alla conclusione che l’intero Parlamento sia stato composto sulla base di simili affetti o interessi.

Tuttavia le cose potrebbero andare diversamente, se i capipartito fossero angeli. Se infatti non fossero quegli animali politici che in effetti sono e non agissero per cercare, mantenere, rafforzare il loro potere, essi si glorierebbero di elevare al rango parlamentare i migliori esponenti della società civile, i più capaci, probi, saggi, onesti cittadini, in modo da trasformare la Camera rappresentativa in un’eletta schiera di illuminati legislatori e reggitori della cosa pubblica. Invece sembra, dico sembra, che in Parlamento, oltre la crema della società, siano entrati anche troppi membri refrattari al rango fortunosamente conquistato. Quindi il potere di nomina, potenzialmente benefico, se responsabilmente esercitato, è stato pervertito nel suo opposto, cioè nella scelta arbitraria ed insindacabile dei parlamentari, determinata più dalla fedeltà e affidabilità che dalle capacità politiche e dai meriti personali.

E ora veniamo alla dottrina liberale. Essa insegna a chi vuol capire che, nell’istituire un ordinamento, bisogna supporre tutti gli uomini “rei” (Machiavelli) o “farabutti” (Hume). È più che un errore, un’esiziale ingenuità, aspettarsi che degli uomini di potere rinuncino ad esercitarlo o si autolimitino nell’esercitarlo o lo esercitino solo a fin di bene, comunque concepito come l’intendono loro. Essi inevitabilmente tenderanno ad abusarne o a distorcerlo per i loro scopi. Potrà non accadere, ma sarà l’eccezione. Il contrario sarà la regola. Come in realtà è avvenuto con il “Porcellum” berlusconiano e accadrà con il “Porcellum” renziano. Le leggi sono fatte sulla base di ciò che accade nella generalità dei casi umani. Chi legifera avendo di mira un singolo, solo possibile, evento virtuoso, prepara la sua stessa rovina mentre gli sembra di prevalere.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 18:21