Renzi deve sciogliere l’equivoco-Tsipras

Giunto alla stretta finale, il negoziato tra le massime autorità dell’Unione europea ed il governo greco ha messo bene in chiaro che Tsipras non ha come obiettivo quello di salvare la Grecia, ma quello di conservare il proprio elettorato. A dimostrarlo è stato il piano che il premier greco ha presentato ai suoi interlocutori, tutto incentrato sull’aumento delle tasse giustificato dalla lotta all’evasione fiscale e del tutto privo di misure dirette a tagliare le spese eccessive di uno stato sociale dilatato da troppo tempo oltre i propri mezzi.

A dimostrare che la vera e sola preoccupazione di Tsipras è di non toccare il blocco sociale che lo ha portato alla guida del Paese è la totale assenza di misure dirette ad adeguare l’età in cui i lavoratori greci vanno in pensione all’età in cui ci vanno i lavoratori europei. In Grecia si continua ad andare in pensione a 58-60 anni. È come in Italia negli anni ‘70 ed ‘80 in cui abbondano le baby pensioni che consentono, soprattutto ai dipendenti pubblici, di usufruire prima del tempo ed a spese dello Stato del trattamento di quiescenza.

Nel resto dell’Europa la pensione scatta dopo i 65-67 anni. E non è stato facile nei singoli Paesi arrivare ad alzare l’età pensionabile in proporzione all’aumento della vita media ed alla necessità di non far collassare lo stato sociale. L’operazione ha prodotto sacrifici, tensioni sociali e lacerazioni politiche. In Grecia, invece, le riforme dirette ad allungare la vita lavorativa non sono state mai realizzate. Non per una ragione ideologica, ma per una precisa esigenza politica, quella dei governi che si sono succeduti di non perdere fette consistenti di elettorato facilmente conquistabile dalle forze più demagogiche ed estreme.

Tsipras ha vinto le elezioni cavalcando la difesa demagogica ed estremistica delle fasce sociali che per anni hanno usufruito dei benefici di un sistema previdenziale fin troppo generoso e pagato dai prestiti e dagli aiuti europei. Ha vinto, in sostanza, con la promessa fatta ai propri elettori di non toccare in alcun modo i privilegi di cui hanno goduto. E, coerentemente a questa promessa, ha presentato un piano che prevede un pesante aumento della pressione fiscale sui consumi, sui contributi delle imprese, sui fatturati e sugli utili delle aziende, ma che non tocca minimamente i privilegi dei propri elettori. Privilegi che se Tsipras la dovesse spuntare verrebbero scaricati sui contribuenti europei chiamati a finanziare con i loro sacrifici gli aiuti ed i finanziamenti senza garanzia ad Atene.

Di fronte a questo quadro ormai fin troppo preciso, il Governo italiano di Matteo Renzi ha scelto di non scegliere. Da un lato ha invocato la solidarietà dell’Europa, dall’altro ha invitato genericamente Tsipras a fare le riforme. Questa non-scelta è motivata dalle difficoltà che lo stesso Renzi ha in Italia rispetto a chi, anche all’interno del suo schieramento politico, cavalca la tigre della demagogia e dell’estremismo. Ma questa incertezza non può durare in eterno. Ad eliminarla ora c’è una domanda a cui non si può più sfuggire. Perché l’Italia deve continuare a pagare con i propri sacrifici i privilegi degli elettori di Tsipras?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16