Il Sud peggio della Grecia, sai che notizia!

Edoardo Scarfoglio, fondatore alla fine dell’Ottocento, con la moglie Matilde Serao, del giornale “Il Mattino”, sentenziava: “ Napoli è l’unica città orientale a non avere un quartiere occidentale”. Aveva torto? A più di un secolo di distanza la sua Napoli e l’intero Mezzogiorno d’Italia continuano ad essere un modello di “Terzo Mondo”. Lo dicono gli ultimi numeri scodellati dall’indagine condotta dallo “Svimez”. La fotografia è quella di una catastrofe arcinota. Non comprendiamo di cosa ci si meravigli.

La crescita economica nel Sud tra il 2001 e il 2013 è stata inferiore della metà a quella della Grecia. Il Pil pro-capite è sotto del 53,7 per cento rispetto alla media nazionale. Gli investimenti, negli anni della crisi, sono precipitati mentre è schizzata la curva del tasso di disoccupazione. Nel 2014 il numero degli occupati è di 5,8 milioni di unità: il più basso dal 1977. La flessione occupazionale, sempre negli anni della crisi, è stata del 9 per cento, sei volte maggiore di quella registrata al Centro-Nord. Il rischio povertà colpisce il 62 per cento dei meridionali. Questa è la realtà. E allora? Dov’è la notizia?

Non serve a nulla che i politici fingano di cascare dalle nuvole per poi inscenare la farsa dello scaricabarile. I guasti non sono di oggi e neppure di ieri, ma vengono da molto lontano. C’è una “questione meridionale” che è nata con l’Unità d’Italia e alla quale sono state date periodicamente risposte sbagliate. Oggi non si riscontra la disponibilità degli investitori a scommettere sul sud. E cosa avrebbe dovuto convincerli? Il perfetto, si fa per dire, sviluppo della rete infrastrutturale del Mezzogiorno? Non un illustre sconosciuto, ma l’allora governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, spiegò che, a causa della presenza di diseconomie ambientali - leggi malavita organizzata - il denaro prestato dalle banche agli imprenditori a Sud costava di più che nelle altre aree del Paese.

È universalmente noto che il merito di credito, secondo i parametri di “Basilea 2”, sconti un maggior rischio di contesto al di sotto della linea del Garigliano. Chi ha voluto tutto questo? Il destino cinico e baro? Nient’affatto. Negli anni Cinquanta del secolo scorso l’economista Vera Lutz parlava dell’esistenza di uno sviluppo dualistico della struttura economica italiana. Grazie ad un disegno politico preordinato negli anni del secondo dopoguerra si decise, con il concorso del Partito Comunista Italiano, per uno sviluppo differenziato del Paese. Al Nord venina dato il compito di ricostruire e ammodernare il settore industriale per essere competitivo sul mercato europeo. Al Sud, invece, toccava il ruolo di bacino di drenaggio della manodopera occorrente al Settentrione. Per compensare lo squilibrio sociale provocato si affidò alla macchina dello Stato il sostegno ai redditi nel Mezzogiorno sia attraverso il meccanismo ipertrofico delle assunzioni nel pubblico impiego, sia mediante il vasto programma delle opere pubbliche alle quali non era richiesto, come alle “buche” di John Maynard Keynes, di essere necessariamente produttive. Era inevitabile che, per effetto di questa anomala separazione funzionale, il morbo della corruzione e del clientelismo si propagasse con maggiore virulenza al Meridione. Ora, non si tratta di fare i pessimisti ma di comprendere che la politica dei pannicelli caldi non serve a nulla. Il Mezzogiorno deve essere liberato dalle catene di tutte le diseconomie che lo condizionano per beneficiare di un lungimirante piano industriale.

Il premier, Matteo Renzi, faccia ciò che ripete a chi gli sta sulle scatole: se è in grado governi, altrimenti vada casa. Vale per lui come per gli altri. Se è in grado almeno di incardinare il processo di soluzione della questione meridionale, bene! Altrimenti, ci dia questa gioia: se ne vada.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 18:19