Isis: la ragione   del centrodestra

Il governo italiano ha già deciso di aderire alla richiesta della Nato di partecipare alla guerra contro l’Isis che si svolge in Iraq. Non si capisce bene se i nostri aerei saranno impiegati solo sul territorio iracheno o anche in quella parte della Siria controllata dal califfato islamico. Ma la questione è di poco conto. Il dato politico più importante è che anche l’Italia parteciperà alla coalizione internazionale impegnata a combattere l’estremismo islamico. Ed in questa veste dovrà mettere in conto che i suoi militari potranno essere impegnati dove le esigenze belliche lo richiederanno e si dovrà fare carico di tutte le conseguenze interne ed internazionali derivanti dal ruolo di componente attiva del fronte anti-Isis.

La decisione presa dal Governo sembra trasformare il prossimo passaggio parlamentare per la ratifica della partecipazione al conflitto contro i terroristi islamici in un atto del tutto scontato e formale. Ma non è così. Perché per un verso il dibattito parlamentare servirà al Movimento Cinque Stelle di impossessarsi del tema del pacifismo ad oltranza fino ad ora cavallo di battaglia preferito della sinistra post- marxista e dei cattolici clerico-progressisti, ma per l’altro si auspica diventi l’occasione per l’opposizione di centrodestra di definire con nettezza le due ragioni che la dovrebbero spingere a votare a favore dell’intervento in Iraq.

Queste due ragioni non hanno molto a che fare con il tradizionale atlantismo delle forze moderate. La nascita e la crescita dell’Isis sono le conseguenze degli errori a catena compiuti dalle diverse amministrazioni Usa succedutesi negli ultimi quindici anni e culminati nella demenziale politica mediterranea portata avanti dal Presidente Barack Obama. L’atlantismo, per essere ancora vitale, non può essere acritico. E la contestazione alla linea seguita dagli Usa (ma anche da Francia e Gran Bretagna) non può mancare nel prossimo dibattito parlamentare.

Le ragioni di fondo che per il fronte moderato giustificano l’intervento, quindi, sono altre. La prima è che si deve andare in Medio Oriente solo nella prospettiva di poter replicare a breve la guerra all’Isis sul territorio libico. L’Iraq, in sostanza, deve essere concepito come la Crimea di Camillo Cavour, cioè come il passaggio obbligato da percorrere per avere il diritto di poter difendere a breve il territorio nazionale dai pericoli provenienti da una Libia nelle mani del califfato. La seconda ragione è che partecipare alla guerra in Iraq significa automaticamente sollevare il problema della capacità di difesa interna (i pericoli di terrorismo aumenteranno fatalmente) ed esterna. Sia la prima che la seconda ragione, infine, sono le due facce di una terza e più grande ragione che è quella dell’interesse nazionale.

Si può votare una decisione del governo Renzi in nome dell’interesse nazionale? Si può e si deve. A condizione che il governo Renzi condivida questo interesse e lo manifesti con impegni precisi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:15