Semplicemente si tratta di libertà

Se la religione che permea la vita intera dell’Islam non prevede al primo posto il concetto stesso di libertà e ciò che ne deriva alla vita individuale e collettiva, la nostra religione, il Cristianesimo, ha come elemento fondante proprio quel concetto perché intreccia indissolubilmente razionalità e religione introducendovi, addirittura nel Vangelo, la conseguenza della separazione fra “quel che è di Cesare e quel che è di Dio”.

A ben vedere, battersi per la libertà che ci è costata secoli di lotte significa anche lottare per la libertà degli altri, islamici compresi. Una premessa, questa, che mi è venuta improvvisa assistendo ai funerali della meravigliosa ragazza veneziana massacrata dai macellai dell’Isis. È stata quella bara trasportata in gondola lungo il canale che mi ha invaso di domande, di pensieri dolorosi in un mix di solidarietà e di vendetta. Sì, di vendetta. Un sentimento estraneo peraltro all’intera cerimonia laica se non atea, ma pur sempre commovente, e che mi ha confermato quell’impulso solo apparentemente irrazionale, quanto dobbiamo proprio alla nostra libertà, innanzitutto religiosa, cristiana. Che consente, appunto, funerali di Stato fuori dalla chiesa, senza “orpelli” ecclesiastici, richiami mistici, prediche edificanti in un contesto nel quale si avvertiva fortemente quel dettato pacifista e persino quei colori arcobaleno, finiti peraltro molto in penombra, come ha rilevato acutamente Paolo Mieli, dopo la strage parigina.

Più procedevano i discorsi di prammatica, sobri, dignitosi, da quelli dei genitori e delle amiche, a quelli del Patriarca, dell’Iman, del sindaco, e si espandeva un’aura di conciliazione, di dialogo, di pacificazione, più si rafforzava in me, affatto razionalmente, l’esigenza insopprimibile avvertita vedendo le immagini di quel singolare trasporto di morte che scivolava nella laguna: bisogna vendicare chi giace in quel sudario di morte, dobbiamo fargliela pagare agli assassini, bisogna fargli la guerra: là, in Medio Oriente, e qua, in Europa. Com’è possibile che questa parola indicibile da tanti politici possa risuonarmi dentro persino assistendo alla cerimonia di addio della giovane ricercatrice convinta volontaria di Emergency, e dunque in un’atmosfera dichiaratamente pacifista? Semplice: per quel concetto di libertà citato nella premessa: di poter pensare senza vincoli, costrizioni e condizionamenti, religiosi e politici, salvo quelli della ragione e del rispetto della vita e della dignità umana. Grazie a quella libertà si può o non si può pronunciare la parola guerra, e pure averne, o no, paura, si può o non si può combattere chi minaccia l’umanità, si può o non si può battersi, in politica cioè in tivù, su fronti opposti. Ma il punto è questo: che proprio la libertà è in pericolo, insieme alla nostra vita, al nostro futuro, alla nostra civiltà.

Si sa, ciascuno ha le sue buone ragioni, e vanno rispettate, dal Papa a Gino Strada, dal Cardinale di Milano al prete di strada a Nairobi all’Iman moderato di Venezia, tutti schierati per la pace senza se e senza ma. All’opposto, hanno le loro buone ragioni chi è convinto che la guerra sia necessaria, inevitabile contro assassini e stupratori e che, come ha ricordato al “Foglio” il giudice Carlo Nordio, che non è tanto o soltanto per difendere i nostri stili di vita, quanto soprattutto per difenderci da chi vuole distruggerci, e la risposta deve essere adeguata e bisogna avere paura della resa non della guerra, giacché il problema della nostra civiltà è di avere perso coraggio e identità. Parole come pietre, si direbbe.

Poi guardiamo i nostri talk-show che, particolarmente di martedì, una palestra - spesso un bar, un’osteria - di opinioni in libertà dove è difficile distinguere fra mezze calzette partitiche, scalzacani filo Islam e mezze cartucce sedicenti analisti. Anche se, ogni volta, ogni martedì e pure di lunedì, mercoledì ecc., si avverte sempre, più acuta e saputella, la vocina che stronca ogni tentativo di ragionamento con l’accusa, che invece è una balla: “Di che stiamo parlando: anche il governo italiano aiuta l’Isis, vende aerei all’Arabia e armi agli Emirati finanziatori dei terroristi di Daesh!”. A parte il fatto che agli Emirati vendiamo pure splendidi grattacieli milanesi, non esiste nessuna prova di aiuti istituzionali nostri ai terroristi.

Del resto, da una rapida lettura del blog di Gad Lerner, che è Gad Lerner, si evince che secondo le analisi del Car, un’Organizzazione non governativa specializzata in studi degli armamenti nei conflitti in corso, per esempio a Kobane, tutte, diconsi tutte le armi usate dai terroristi sono frutto della depredazione degli eserciti siriani e iracheni. L’accusa è dunque una balla spaziale, ma gira, eccome se gira sulle nostre tivù. Come chiosava il sublime e sempre attuale Alessandro Manzoni nel suo romanzo, a proposito di discussioni da osteria: “Ora - mormora un altro – ogni scalzacane vorrà dir la sua”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:13