Renzi volta le spalle a Hollande

Matteo Renzi e François Hollande si sono visti ieri all’Eliseo. Ma, a occhio e croce, non deve essere stato un bel vedersi. Sul tavolo c’era la questione dell’intervento militare in Siria per il quale il presidente francese sollecita un concreto coinvolgimento dei principali partner europei. Matteo Renzi ha fatto, come al solito, l’anguilla. Dopo una sequela di melense parole di solidarietà verso la “sorella Francia” è sgusciato via sul ronzio di uno sciame di “ni”, che devono aver indispettito l’interlocutore transalpino. Il culmine lo si è raggiunto nel corso della conferenza stampa congiunta, quando il nostro fantasioso premier ha tirato fuori la storiella che il terrorismo islamico si batte con la cultura.

Non ci giureremmo ma ci è sembrato di vedere fumo fuoriuscire dai calzoni di Hollande. Devono essergli andati a fuoco i maroni nel patire le amenità del fiorentino. Ma come? - si sarà chiesto - volevamo sapere dall’Italia quanti uomini, quanti dispositivi d’attacco, quante navi e quanti aerei avrebbe potuto assicurarci per radere al suolo l’Is e lui, l’italiano, serafico ci risponde che la soluzione è nei bambini che intonano la marsigliese nelle scuole. Pur non avendo mai nutrito stima per il presidente francese, ora non possiamo non dire che “siamo tutti Hollande” per ciò che al poveretto è toccato di sentire. Anche a noi sarebbero andati in fumo gli attributi ascoltando Renzi.

Ma c’è dell’altro, a conferma che la supponenza di chi ha vita troppo facile a casa propria non conosca limiti. Nel momento stesso nel quale chiude la porta a un sostegno diretto alla Francia nel quadrante siriano, Renzi si preoccupa di mettere sul tavolo ciò che più lo preoccupa: la stabilizzazione della Libia. Ci domandiamo con quale faccia lui e l’opaco ministro Paolo Gentiloni abbiano affrontato la questione. Mettiamola così: l’Italia non muove un dito per aiutare Francia e Russia contro il nemico jihadista, però vuole appoggio, se non carta bianca, per regolare a proprio favore la crisi libica. Con tutta la fantasia di questo mondo, non è chiedere troppo? Soprattutto se si pretende di avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ci vorrebbe un po’ di onestà intellettuale nel raccontare agli italiani la verità. Benché sia legittimo il diritto del governo di Roma a sfilarsi dall’impegno in Siria, va detto che l’assenza dalla linea del fuoco avrà inevitabili ricadute sul peso che verrà riconosciuto al nostro Paese quando si tratterà, a guerra conclusa, di ridisegnare la mappa delle influenze nello scacchiere mediterraneo-mediorientale. Nel sistema degli equilibri globali è così che funziona: si compiono scelte e se ne pagano le conseguenze.

Restiamo fuori dal pantano siriano? Benissimo! Ma non lamentiamoci se poi non avremo alcuna voce in capitolo sulla sorte della Libia o di altre zone sensibili per i nostri interessi strategici e commerciali. E non ci si venga a dire, come ha fatto la ministra Pinotti al Corriere della Sera, che “L’Italia ha un modo tutto suo di stare nelle missioni militari, che è molto italian style”. Ma roba da matti! C’è da chiedersi se davvero credano a ciò che dicono questi politicanti. Dopo il deludente incontro di ieri mattina è ipotizzabile che dalle stanze di Bruxelles e di Washington arrivino pressioni su Palazzo Chigi per assicurare a Parigi il minimo sindacale nella collaborazione, giacché è concreta la paura che un Hollande lasciato solo si faccia fagocitare dal nuovo compagno di strada, Vladimir Putin.

Non è difficile immaginare che la nuova linea autunno-primavera, per stare all’immaginario stilistico della ministra “Nuccia Prada” Pinotti, preveda che l’Italia sostituirà con propri uomini un modesto numero di militari francesi impegnati, in altri teatri, per missioni di peacekeeping. Sarebbe un modo per allievare lo sforzo bellico francese. Non è granché, ma almeno l’Italia salverebbe la faccia. E qualcos’altro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:13