Renzi e il rischio della supercazzola

Capita di frequente - anche di questi calamitosi tempi di venti di guerra - di soffermarci pensosamente sgomenti su insopportabilmente frequenti frasi scagliate durante i micidiali talk-show, peraltro in ripresa momentanea nell’audience a causa di quei venti.

In genere parole e urla sono prevedibili, non fosse altro perché la nutrita schiera di partecipanti di scalzacani arrogantemente ignoranti ripetono, uguali e contrari, i mantra da bar che da anni ci perseguitano. Dico mantra ma in realtà dovremmo tirare in ballo la più sublime mitologia filmica con quello strepitoso termine che va sotto il nome di “supercazzola”. E siamo troppo buoni ad evocare la frase sconclusionatamente geniale - è di Monicelli e Germi - con cui Ugo Tognazzi in “Amici miei” nelle vesti del Conte Mascetti, mandava in tilt un vigile urbano che lo voleva multare. E vabbè... Ma quando parlano i leader, quando si salutano i capi di Stato, quando un Renzi, per dire, si rivolge a un Hollande (che non è un vigile urbano) in attesa di volare dall’amico Putin e racconta la solita solfa o mantra sulla convinta solidarietà italiana all’amica e sorella Francia in guerra con l’Isis, senza peraltro specificare pubblicamente modi, termini, tempi, uomini, mezzi e armi di tale solidarietà, si viene assaliti da un sospetto che più cerchiamo di allontanare il neologismo del Conte Mascetti e più questo ritorna sfacciato e starei per dire incombente.

Ebbene sì, persino nell’incontro fra i due capi di Stato, la supercazzola ha fatto capolino, ha come impregnato una parte del saluto renziano anestetizzandolo e, al tempo stesso, condizionandolo perché, come spiega l’autorevole Dizionario Zingarelli su cui, insieme alle altre 500 nuove espressioni, è approdata ufficialmente la parola: “Per supercazzola s’intende parola o frase senza senso, pronunciata con serietà per sbalordire o confondere l’interlocutore”. Spiegazione sintetica ma abbastanza completa, tant’è vero che l’abbiamo applicata al nostro Premier cui siamo abituati, per educazione politica, a portare rispetto, giacché, “right or wrong, my country”, ma non solo. E dunque vorremmo rispettosamente far notare che i giri di parole, ancorché ampollose, le frasi circonlocutoriamente introduttive ma vagolanti, mostrano ben al di là di quelle esplicite e dei gesti frequenti dell’abbraccio iniziale e delle pacche sulle spalle, la vera sostanza del pensiero, l’autentica qualità del senso di un incontro. Perché parole e frasi che girano intorno al problema senza affrontarlo di petto, rivelano un parte, benché piccola, benché nascosta, benché rimossa, della propria personalità.

Il non detto vale come e forse più dell’affermato nella misura con la quale riflette fuori lo specchio che sta dentro e ne appanna la chiarezza. Può darsi, anzi è assai probabile che in privato i due leader si siano scambiati promesse nettamente più chiare e, forse, anche più impegnative e comunque mantenibili, sol che si pensi sia all’imminente Giubileo con visite di milioni di fedeli cristiani alla Sede della Cristianità, con quanto ciò implica, sia alle migliaia di soldati italiani (ovvero 007 dell’intelligence con armi, aerei ed elicotteri) dislocati nelle aree calde, alcune non estranee a quelle dove soffiano i venti di morte di Daesh.

Mancava il pathos, ecco. È mancata l’immagine dei due che rendono omaggio al sangue innocente del Bataclan, dove invece un Cameron commosso ha sostato a lungo con Hollande: contano, eccome che contano le immagini, sono simboli. Eppure quell’incontro a Parigi dell’altro giorno ha dato la scipita sensazione di un girare a vuoto, di non prendere il toro per le corna, di un diplomatizzare fine a se stesso, frutto di vaghezze, di incertezze e rimozioni. Che speriamo momentanee, si capisce, ma che, tra l’altro, cozzano con lo stile focoso, veloce, irruente, apodittico del renzismo di lotta e di governo. E, magari, di sottogoverno, che pure conta. Alla prossima, speriamo non supercazzola.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12