L’aria che tira al Nord

Sembrava che l’accoppiata Salvini-Le Pen risollevasse l’aria che tira quassù al nord. Al nord della destra, si capisce. Altrove, a sinistra, tira un’aria nella quale è difficile capire se l’attesa delle Primarie del Partito Democratico non sia, più perfidamente, un’attesa di un segnale dal Palazzo di Giustizia che faccia la differenza fra il candidato favorito Sala e la Balzani e Majorino. E quando una campagna elettorale, sia pure interna, sia pure del Pd, è percorsa da simili veleni, si affaccia un fiero dubbio: ma è questa la buona politica? Quella che nasconde sotto la veste immacolata delle idee il pugnale dell’avviso di garanzia? Chi vivrà vedrà.

Intanto le primarie della sinistra hanno avuto, da settimane, un insperato assist dal Cavaliere che ha sancito come e qualmente il suo (loro?) candidato sindaco di Milano sarà deciso dopo che il popolo della sinistra meneghina avrà scelto il proprio. Una scelta tecnicamente valida ma strategicamente rischiosa, non fosse altro perché ha concesso ai tre re magi candidati di percorrere a grandi falcate i media godendo di una visibilità che non nuocerà al primo arrivato, che sarà al 90 per cento Sala. E allora? Allora rimane l’impressione che il centrodestra qui al nord sia non al meglio delle sue condizioni, a parte Salvini che si è concesso il lusso politico di abbracciare la Marine Le Pen indicando al popolo della destra la via maestra - no Euro, no Schengen, ecc. - con ciò facendosene un baffo dei centristi berlusconiani non esattamente collocati su quei due “no”.

E tuttavia, anche l’arrivo in pompa magna della Marina d’Oltralpe non ha sollevato di molto le onde dell’attenzione; qualche spruzzo, qualche increspatura, sia pure con spumeggianti slogan che alle elezioni dovrebbero fruttare qualche voto. Già, e dopo? Perché la sorte di Matteo e di Marine è intrecciata con un’analogia interessante: entrambi, molto più lei di lui, capaci di vendemmiare voti, ma poi non in grado, unfit, a governare. Già, e dopo? Dopo resta l’impressione di oggi, che l’impronta aggressiva di un leader come Salvini sia destinata a pesare sull’alleanza in costruzione fra Pdl, Lega e Fratelli d’Italia, ma non nella direzione virtuosa di un’aggregazione che si allarga e cresce, con leader alla pari, ma, al contrario, con uno di questi, il capo della Lega, che ha fino ad ora posto veti e interdizioni di cui la iterata proibizione di una comune candidatura, importante come quella di Lupi, ha di fatto ostruito una delle non tante strade percorribili, immettendosi in un circolo vizioso.

Il che fare non tocca a noi dirlo. Anche perché ogni elezione ambrosiana fa storia a sé, sol che si pensi alla vicenda di donna Letizia Moratti, sconfitta da Giuliano Pisapia al secondo turno, quando non pochi dei capi berlusconiani giuravano che il successo della Moratti era scontato, addirittura ovvio. Dimentichi dell’eterna massima di Sherlock Holmes: “Nulla è più ingannevole di un fatto ovvio”. La conosce questa il buon Sala?

Per intanto vale la pena registrare un venticello frizzante della sinistra milanese, fino ad ora padrona del campo, voglio dire del territorio, giacché quello mediatico è aperto a tutti; e tutti sappiamo quanto conti la padronanza delle vicende territoriali, di quartiere, di zona, di periferia, una competizione amministrativa. Resta sullo sfondo il tema, che sembra lontano ma non lo è, del referendum sull’Italicum. Renzi ha solennemente ribadito che se perde la battaglia, lascia la politica, il governo, va a casa. Una promessa leggibile, dai maliziosi, rovesciandola: se vinco il referendum, vado al voto anticipato. Non improbabile, la seconda. Ma il punto vero, oggi, è la scelta fra chi è favorevole all’Italicum e chi è contrario. Come è stato posto dallo stesso Premier, il sì è per chi vuole cambiare le antiquate e dannose istituzioni, il no a chi le vuole conservare, il sì a chi è contro un Senato che ritarda ogni decisione, il no a chi ne vuole la costosa continuità.

Senza entrare nel merito - cosa che faremo, ovviamente - resta un fatto: che ogni referendum è schematico, è drastico, o di qua o di là. Lo era anche quello del 1991 sulla preferenza unica del referendum di Mariotto Segni. Ebbene, il Psi, senza che nessun dirigente, da Bettino Craxi in giù, facesse mente locale su quella proposta referendaria, apparentemente marginale ma sostanzialmente antipartitocratica ed a suo modo innovativa, invitò tutti ad andare al mare. La gente non diede loro retta e accorse al seggio referendario. In quel preciso momento, il Psi, che era il partito della grande riforma, del presidenzialismo, del decisionismo, dello svecchiamento del sistema, apparve come il partito della conservazione, dello status quo, dei partiti abbarbicati al loro potere, del vecchio. Quindi, attenzione al referendum!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:44