Stati generali carceri: il diritto all’affettività

È tempo di un primo bilancio per gli Stati Generali dell’esecuzione penale. In assenza di soluzioni strutturali, i vari rimedi messi in campo dal governo (sia il rimedio preventivo che quello compensativo) si sono rivelati inefficaci dopo le scudisciate che la Corte di Strasburgo ha assestato all’Italia per l’emergenza del sovraffollamento carcerario, per la mancanza nel nostro ordinamento giuridico di strumenti adeguati a dare un taglio alle violazioni ai danni dei detenuti e per la mancata possibilità di risarcirli del danno da inumana detenzione. Rimane, dunque, l’urgenza di ricondurre la pena nel solco che la nostra Costituzione, l’Ordinamento penitenziario e la Cedu le attribuiscono affinché l’esercizio della detenzione non seguiti a tradursi in quel trattamento inumano e degradante che Strasburgo e la giurisprudenza internazionale considera tortura.

In attesa di conoscere per quali vie la legge delega sulla riforma penitenziaria e l’esecuzione penale esterna intenda restituire effettività alla funzione rieducativa del condannato e traghettare il sistema penitenziario italiano verso il pieno rispetto dell’umanità della pena e dei diritti fondamentali dei detenuti, gli Stati generali voluti dal ministro Andrea Orlando restano al momento l’unico presidio della volontà, come più volte detto dal ministro, di “definire un nuovo modello di esecuzione della pena ed una nuova fisionomia del carcere più dignitosa per chi vi lavora e per chi vi è ristretto”. Diciotto tavoli che, avvalendosi del lavoro di chi opera nel mondo penitenziario - educatori, magistrati, avvocati, psicologi, architetti, docenti universitari ed esponenti della società civile e del volontariato - si sono assunti un lavoro ciclopico i cui risultati tuttavia non sono ancora chiari. Unica eccezione per il tavolo coordinato da Rita Bernardini e dedicato al “riconoscimento ed esercizio del diritto all’affettività del detenuto”, il primo ad aver elaborato, con tempismo ‘radicale’, una relazione complessiva e proposte di cui il governo dovrebbe tener conto.

L’impegno dei partecipanti, il professor Paolo Renon, la dottoressa Maria Gabriella Gaspari, il dottor Carmelo Cantone, l’avvocato Giuseppe Cherubino, la dottoressa Lia Sacerdote e il dottor Gustavo Imbellone e la dottoressa Silvana Sergi ha individuato sbocchi concreti alle finalità che si era prefissato il team. Riunitosi 12 volte, senza mai gravare sulle casse del ministero della Giustizia, nemmeno in occasione delle visite e degli incontri nelle carceri visitate, il tavolo è riuscito a portare a casa un’ottima percentuale di risposte dai direttori degli istituti penitenziari (113 su 198 questionari inviati) ed a fornire una serie di indicazioni di cui il governo deciderà se servirsi nell’esercizio della delega. Il tavolo, che ha seguito i due criteri direttivi della legge delega in cui si parla di collegamenti audiovisivi per favorire le relazioni familiari (non si è occupato dell’indegno uso delle videoconferenze nei processi) e riconoscimento all’affettività delle persone detenute, ha considerato amputato il diritto all’affettività sotto tre principali profili: la territorializzazione della pena, i permessi e i colloqui e le relazioni tra detenuti e figli minorenni.

Motore di tutte le proposte, un cambio di impostazione che sposta il punto di osservazione anche sull’altra parte del mondo dei detenuti: i familiari e i minori. Perno su cui si è svolto il confronto è il principio che quello all’affettività rappresenta un diritto umano fondamentale e per questo meritevole di strumenti di tutela ad hoc, da assicurare anche alle famiglie che, senza aver ricevuto la condanna, si trovano nella condizione di subire la medesima pena di chi è recluso. Condizione tanto più gravosa se vissuta dai minori privati del rapporto con i propri genitori. Anche a loro il tavolo di lavoro si è dedicato con l’obiettivo di radicare nelle istituzioni il dovere di trasformarne i bisogni in diritti e di rispettarli. E quello alla continuità del legame affettivo è indispensabile per un corretto sviluppo psicofisico. È stata formulata la proposta che il diritto all’affettività sia riconosciuto a tutti i detenuti senza discriminazioni relative alla durata o al regime di detenzione, anche se la stessa Bernardini riconosce quanto il cammino sia in salita: “A legislazione vigente - spiega - il diritto all’affettività non può essere garantito a tutti i detenuti fino a quando il legislatore non interverrà riformando le norme dell’Ordinamento penitenziario che escludono dai benefici categorie di detenuti che prevedono il regime speciale di detenzione al 41 bis”.

Si avrà il coraggio di affrontare un tema così impopolare come le modifiche al 41 bis? Forse qualcosa si muove: alcuni senatori hanno presentato sul tema un atto di sindacato ispettivo ad Orlando. Resta la consapevolezza che in materia di carcere ostativo e 41 bis la sfida è ancor più titanica date le resistenze ad affrancarsi da una gestione degli istituti penitenziari come strumenti di baratto e di pressione alla collaborazione con l’autorità giudiziaria.

(fine prima parte)

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59