Questione Marò:   4 anni di disonore

La storia di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i marò accusati senza prove di essere i responsabili dell’omicidio in mare di due presunti pescatori indiani, ha spento quattro candeline. Era il 15 febbraio del 2012 quando nelle acque internazionali al largo della costa del Kerala veniva intercettata e costretta a rientrare nel porto indiano di Kochi la petroliera italiana Enrica Lexie.

La vicenda è arcinota e non occorre ripercorrerla nei dettagli. Basti ricordare che al momento dello scoppio della crisi a Palazzo Chigi c’era il peggiore Presidente del Consiglio della storia d’Italia: Mario Monti e al Quirinale signoreggiava il pessimo Giorgio Napolitano. Questa coppia di scartine, sostenuta da un codazzo di patetici comprimari, si rese protagonista di tutte le scelte sbagliate che hanno precipitato i nostri marò in una vicenda surreale: accusati di un crimine mai commesso, trattenuti contro la loro volontà da un paese straniero che ha fatto strame delle elementari norme del diritto internazionale e che li ha sfacciatamente usati come capri espiatori di una torbida vicenda di criminalità locale.

Per lungo tempo il governo italiano ha girato a vuoto nel tentativo di elemosinare dalla controparte una soluzione bonaria che consentisse, con il rimpatrio dei marò, di chiudere un caso inesistente. I governanti indiani hanno fatto spallucce. Peggio: hanno goduto nell’umiliare un paese dell’occidente ex-coloniale giudicato troppo piccolo per reagire e troppo grande per passare inosservato. La loro arroganza è stata tale da costringere un pur riottoso Matteo Renzi, stretto all’angolo, a scegliere la via dell’arbitrato internazionale almeno per strappare il diritto a processare in patria i due militari.

Nel 2015, il Tribunale internazionale per il diritto del mare di Amburgo, Itlos, pur non pronunciandosi sulla concessione della libertà agli indagati, ha intimato alle parti in causa di congelare tutte le iniziative giudiziarie in corso. Ciò comportava che Girone non avrebbe potuto lasciare l’India senza il consenso del governo indiano mentre Latorre, che attualmente è in Italia per curarsi dai postumi di un ictus, non avrebbe avuto l’obbligo di rientrare a New Delhi. Invece, a riprova che gli indiani se ne fregano dell’Italia e dei tribunali internazionali, la Corte suprema di New Delhi si è ugualmente pronunciata sul prolungamento del permesso a Latorre. Come se niente fosse accaduto.

Ora tocca al Tribunale arbitrale de l’Aja esprimersi sull’attribuzione di giurisdizione, ma il verdetto non arriverà prima del 2018. Più rapida invece dovrebbe essere la decisione sulla sospensione della misura cautelare a carico di Salvatore Girone: si dovrebbe sapere qualcosa entro la fine del prossimo mese di marzo. Sia chiaro: il Tribunale de L’Aja non dirà se Latorre e Girone sono innocenti o colpevoli ma solo in quale Paese dovranno essere giudicati, se in India o in Italia. È probabile che si dovrà attendere il prossimo decennio per vedere i nostri marò scagionati da un’accusa che non sta in cielo né in terra. Vi sembra giusto?

Intanto, il nostro governo sta timidamente imboccando l’unica strada extragiudiziale che abbia senso: la ritorsione diplomatica. Gli indiani evidentemente non comprendono altro linguaggio che quello degli atti di forza, allora ben venga che l’Italia impartisca loro una lezione. Se Matteo Renzi vuole dimostrare di avere quel fegato che finora gli è mancato prenda un solenne impegno con il Paese: sia irremovibile nel boicottaggio degli interessi indiani ovunque se ne crei l’occasione, fin quando a Latorre e a Girone non sarà restituita la piena libertà. Le chiacchiere non bastano, occorrono i fatti. Con i due fucilieri è stato sequestrato l’onore del nostro paese e ciò non è tollerabile. La si faccia finita con i salamelecchi ai politici inturbantati e gli si mostri il volto severo di una grande nazione civile. L’Italia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59