WikiLeaks e le verità   sulla guerra all’Italia

Grazie a WikiLeaks scopriamo l’acqua calda: il presidente Silvio Berlusconi era spiato dall’intelligence americana. I cablo intercettati danno conto di un’intensa attività di spionaggio ai danni dell’allora premier italiano e dei suoi principali collaboratori. Le trascrizioni confermano cose arcinote: l’attacco proditorio nell’autunno 2011 della coppia Sarkozy-Merkel alla leadership berlusconiana con il pretesto dell’insostenibilità del debito pubblico italiano. Raccontano pure dei legami d’amicizia intrecciati da Berlusconi con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Dunque, nessuna clamorosa novità.

Che il governo statunitense tenesse d’occhio un alleato anomalo è perfino comprensibile. Berlusconi, negli anni di governo, aveva consolidato il rapporto personale e politico con Vladimir Putin, nemico numero uno di Washington. Inoltre, aveva assunto una posizione in favore del governo di Gerusalemme fortemente dissonante con la politica filo-araba di Barack Obama. Berlusconi mostrava di volersi smarcare dalle scelte del potente alleato di oltreoceano e ciò lo rendeva inaffidabile. Da qui l’esigenza di una stretta sorveglianza dei suoi movimenti, almeno fino alla sua uscita di scena. Cosa che è puntualmente avvenuta nel 2011 anche se, per defenestrarlo, si è resa necessaria una guerra in Libia, le cui conseguenze disastrose pesano tuttora sul futuro della sicurezza globale.

Oggi è di moda dire che l’attacco a Gheddafi fu un errore. Peccato che, a ridosso degli avvenimenti, fossero in pochi a sostenerlo. E tra questi vi era il nostro giornale. Le rivelazioni offerte da Julian Assange conducono a confermare una verità palmare che solo l’ipocrisia della politica internazionale e la codardia di quella interna ha evitato che venisse portata per tempo all’attenzione dell’opinione pubblica: la guerra scatenata contro il dittatore libico dal francese Nicolas Sarkozy con l’appoggio della Gran Bretagna e la benedizione di Washington e di Berlino è stata un’aggressione indiretta all’Italia. Quel che è accaduto dopo, nella tarda primavera del 2011, con le manovre della speculazione finanziaria sui titoli del debito pubblico italiano è stato solo l’atto finale di un piano che ha avuto il suo epilogo nella caduta di Berlusconi e nella sua sostituzione a Palazzo Chigi con l’uomo di fiducia delle cancellerie europee.

Hanno ragione quelli che sostengono che non vi fu congiura o complotto contro Berlusconi: in realtà si trattò di un deliberato atto di guerra combattuto non con armi convenzionali, ma con gli strumenti della speculazione finanziaria. Poco finora si è detto del ruolo svolto dalle “quinte colonne” della politica e delle istituzioni pubbliche italiane nel favorire la disfatta del nostro Paese. Ancora si dovrà parlare di loro. A cominciare dal “galantuomo” che, all’epoca, manovrava dal Quirinale. In un Paese serio un tale personaggio, anziché essere “nutrito nel Pritaneo” di Palazzo Madama, avrebbe dovuto rispondere del suo operato davanti a un giudice. Ma questa è l’Italia. Sentire, poi, strani figuri, che si spacciano per “salvatori della patria”, strologare di massimi sistemi dà il voltastomaco.

Tuttavia, se si vuole onorare fino in fondo la verità, bisogna riconoscere che una parte di responsabilità di ciò che accaduto in quel maledetto 2011 ce l’ha anche la vittima: Silvio Berlusconi. La sua colpa è stata di non aver provocato una nuova “Sigonella”; di aver ceduto alle pressioni esterne e interne per disarcionare il suo amico Gheddafi invece che irrigidirsi nel mantenimento dello status quo. Non doveva permettere ai francesi di attaccare Tripoli; non doveva farsi trascinare in una guerra insensata e autolesionista. Sebbene la storia non sia fatta di “se” è tuttavia lecito chiedersi: un diverso comportamento di Berlusconi nel 2011 avrebbe consegnato l’Italia a un futuro meno umiliante e fosco di quello che abbiamo davanti? Ai posteri l’ardua sentenza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:01