Roma, indispensabilità di Silvio Berlusconi

Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno deciso di trasformare le elezioni amministrative a Roma nell’occasione per defenestrare Silvio Berlusconi dalla leadership del centrodestra e conquistare al posto del Cavaliere il diritto di guidare il fronte moderato nelle future battaglie.

L’operazione diretta a costringere Berlusconi ad abdicare in favore della diarchia apparente Salvini-Meloni (in realtà il monarca reale sarebbe solo il leader della Lega), è andata avanti con indiscusso successo. Le iniziali perplessità della Meloni di assumersi un onere così impegnativo come una campagna elettorale per il Campidoglio senza avere alle spalle una squadra adeguata per gestire le emergenze della Capitale ha spinto Berlusconi a preparare con le proprie mani la trappola in cui si è ritrovato con l’intesa a tre sulla candidatura Bertolaso.

Per Salvini e per la Meloni, che ha come esigenza suprema quella di dimostrare come a Roma l’unica erede di An sia Fratelli d’Italia, è stato un gioco da ragazzi scaricare Bertolaso e puntare a dimostrare con la candidatura dell’ex ministro della Gioventù che l’Era della leadership berlusconiana si è conclusa.

Ora, però, la decisione del Cavaliere di insistere sull’ex responsabile della Protezione civile apre una diversa partita politica. Che non è quella della spaccatura dentro Forza Italia tra chi crede che il futuro del partito berlusconiano sia quello di entrare a far parte del fronte lepenista guidato da Salvini (i dirigenti del Nord per evidenti ragioni elettorali) e chi pensa che la collocazione futura di Forza Italia debba rimanere quella popolare e liberale del Ppe. Ma è quella della indispensabilità di Berlusconi e della sua area politica per la tenuta e la vittoria di qualunque forma di aggregazione del centrodestra.

Bertolaso diventa allora non l’elemento che serve a dimostrare l’abdicazione imposta al Cavaliere, ma l’esempio di come senza il Cavaliere nessuna forma di centrodestra può sperare di conquistare una qualche posizione di governo.

Nessuno dubita che senza un accordo con la Meloni o Marchini l’ex responsabile della Protezione civile possa arrivare al ballottaggio. Ma appare altrettanto evidente che, senza un accordo con Bertolaso, Marchini non ha alcuna possibilità di arrivare a sfidare la Raggi e la stessa Meloni. E quest’ultima, se mai dovesse riuscire a superare la barriera del primo turno, non potrebbe mai sperare di giocare la partita decisiva per il Campidoglio senza un patto di ferro con Bertolaso e Berlusconi.

La conclusione è semplice. Chi avrebbe dovuto abdicare può sfruttare la vicenda romana non per uscire di scena ma per marcare la propria indispensabilità.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:06