Se Giorgio Napolitano spara sulla Lega Nord

Sua maestà Giorgio Napolitano attacca la Lega Nord a testa bassa definendola xenofoba e Matteo Salvini sbrocca. Non ci sta a subire l’intemerata dell’ex inquilino del Colle e gli dà del rimbambito. “Dovrebbe essere ricoverato, straparla” va giù duro il capo leghista. “Mi spiace che prenda uno stipendio dallo Stato italiano”, insiste Salvini calcando la mano sull’aspetto geriatrico della vicenda. Ovviamente sbaglia. Non perché sia inappropriato rispondere a muso duro al past-presidente della Repubblica, ma perché l’esimio Napolitano non si è affatto rincitrullito. Al contrario, ciò che dice segue la trama del medesimo disegno politico al quale ha lavorato negli anni della sua presidenza e che è ancora in atto nonostante l’apparente passo indietro compiuto con l’uscita anticipata dal Quirinale.

L’obiettivo prioritario del vecchio dirigente comunista è stato di destrutturare il centrodestra. Napolitano aveva capito prima degli altri suoi sodali della sinistra che un centrodestra unito sarebbe stato imbattibile in quanto ampiamente maggioritario nel “sentire” del Paese. Bisognava allora provare a disarticolarlo mettendo i leader della coalizione berlusconiana l’uno contro l’altro. Visti i risultati, non c’è che dire: gli è andata di lusso. Se si pensa a ciò che era il centrodestra nel 2008, all’alba della XVI Legislatura, e ciò che è diventato nel giro di qualche anno, come non vedere l’opera infaticabile della “manina” di Napolitano? Benedizioni e “via libera” ai vari golpisti non sono mancati, anche se poi i destini personali di coloro che hanno accettato di farsi telecomandare dal vecchio comunista non siano stati granché floridi.

Cambiano le stagioni, entrano in scena nuovi protagonisti, ma, parafrasando il mitico Vujadin Boškov: tattica vincente non si cambia. Così Napolitano, che vede profilarsi all’orizzonte un’onda di consenso a favore della Lega, anche per effetto della risacca che trascina verso l’Italia i successi delle destre radicali in tutta Europa, decide di sfruculiarla, certo della reazione pavloviana del suo leader. Salvini, sentitosi attaccato reagisce insultando, gli alleati, imbarazzati, prendono le distanze e l’agognato riavvicinamento rallenta: esattamente ciò che è nelle intenzioni della vecchia volpe rintanata a Palazzo Giustiniani. Altro che ricovero! Napolitano è in campo ed è pronto a giocare la sua partita traendo dai guai un affannato Renzi.

Perché, se non fosse ancora chiaro, il dominus di questa fase politica resta lui, sua maestà Giorgio. È stato il killer politico dell’uomo di Arcore, riuscendo là dove nessun altro capobanda della sinistra era riuscito. È stato il garante degli accordi con l’establishment europeo per ricondurre l’Italia sotto il controllo dell’asse franco- germanico dopo la parantesi dell’eterodossia berlusconiana in politica estera. È stato il dottor Frankenstein che ha generato la mostruosa creatura del Monti-premier. Oggi è il Collodi che, nei panni di mastro Geppetto, cesella la versione bronzea del pinocchio-Renzi. Ma la sua missione non è ancora giunta al termine. Due ancora gli obiettivi da conquistare prima di tirare il fiato: l’approvazione della “sua” riforma costituzionale e la definitiva disarticolazione di quella che un tempo fu l’armata del centrodestra unito. I due target sono allineati sulla medesima linea di fuoco: coglierne uno comporta abbattere anche l’altro. Se la riforma costituzionale passa, si voterà con l’Italicum. Spingendo Salvini verso posizioni estremiste anche nei toni del confronto politico aumenteranno gli ostacoli al processo di ricomposizione con i moderati del centrodestra. A quel punto, con l’opposizione frantumata che corre in ordine sparso, vincere le prossime elezioni per Renzi sarà un gioco da ragazzi. E per Napolitano sarebbe il match-ball sulla “Seconda Repubblica”. Gioco, partita, incontro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:04