Il rischio del nuovo   caso Abu Omar

Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha rivelato che negli ultimi tempi almeno un paio di attentati sono stati fortunatamente sventati nel nostro Paese. A sua volta il ministro dell’Interno, Angelino, Alfano ha sostenuto che si sta indagando su un presunto complice dell’attentatore di Nizza in passato residente a Bari.

Ma il Procuratore nazionale Antiterrorismo, Franco Roberti, ha sostenuto che al suo ufficio non risultano le informazioni fornite dal responsabile del Viminale. Ed a sua volta il Procuratore di Torino, Armando Spataro, ha chiesto di sapere se la magistratura sia stata informata dei “due o tre” attentati sventati a cui ha fatto riferimento Renzi.

Le dichiarazioni di Roberti e di Spataro non sollevano solo il problema del tipo di coordinamento esistente tra Servizi segreti, Procura Antiterrorismo e magistratura inquirente. Che a quanto pare sembra essere, se non inesistente, almeno poco funzionante. Ma solleva una questione decisamente più importante. Che riguarda il rapporto che deve essere stabilito e mantenuto tra i Servizi segreti impegnati nella lotta contro il terrorismo internazionale e la magistratura a cui compete il compito di promuovere l’azione penale nei confronti di chi commette reati.

Non è un caso che la questione sia stata di fatto sollevata dal Procuratore Spataro. Il caso Abu Omar, presunto terrorista catturato da agenti americani ed italiani sul nostro territorio e consegnato alle autorità egiziane, non è stato dimenticato dall’attuale responsabile della Procura di Torino. Ed a non dimenticare le polemiche e gli scontri provocati dal conflitto tra la ragion di Stato dei servizi e l’obbligatorietà dell’azione penale dei magistrati dovrebbero essere anche i massimi responsabili delle istituzioni politiche del Paese.

Insomma, gli attentati sono stati sventati? Il presunto complice dell’attentatore di Nizza è stato identificato? La magistratura è stata informata? E, soprattutto, nella lotta al terrorismo internazionale attuato non solo dai militanti dell’Isis ma anche dai semplici fanatici desiderosi di immolarsi in nome di Allah, la filiera di comando è guidata dalla istituzione politica o da quella giudiziaria? È fin troppo facile rilevare che sciogliere quell’ultimo interrogativo sia indispensabile per non trasformare la lotta al terrorismo in una guerra tra istituzioni destinata a provocare guasti addirittura peggiori di un qualsiasi attentato.

Fino ad ora il nostro Paese è stato fortunatamente preservato da attacchi devastanti come quelli avvenuti in Belgio ed in Francia. E la circostanza ha impedito il ripetersi del caso Omar. Ma perché aspettare l’incidente per fare chiarezza su questo aspetto determinante per il successo nella lotta al terrorismo?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:06