La morale parolaia sul terrorismo islamico

Un anziano prete, Jacques Hamel, è stato sgozzato sull'altare della chiesa di Saint- Étienne-du- Rouvray, in Normandia, da due soldati di Allah. É un déjà-vu che si ripete con disperante monotonia: il nemico attacca e l’Occidente dibatte intorno alle cause della violenza.

Le tesi ardite degli intellettuali politicamente corretti di questi tempi vanno a ruba. Si tratta dei soliti noti del pensiero presentabile, insuperati maestri nella complicata arte dell’arrampicata sugli specchi. Una volta giungono a concludere che i terroristi sono fedeli di una devozione distorta e fraintesa, salvo a scoprire che alcuni dei più feroci assassini si sono convertiti alla causa jihadista poco prima di colpire. Un'altra volta strologano di poveri disperati che avrebbero subito la violenza del clima delle banlieue nelle quali sarebbero stati relegati dai cattivi “padroni” bianchi, ma viene fuori che jihadisti sono anche figli di papà, ricchi e viziati. Poi, a giustificazione dei massacri, sciorinano la pazzia e i disturbi mentali anche se gli aspiranti martiri di Allah nei video-testamento che lasciano prima di immolarsi appaiono lucidissimi e perfino logici in ciò che dicono.

Non se ne può più di ascoltare tante stucchevoli spiegazioni. Siamo stufi delle loro dotte analisi, vorremmo vedere in chi ha la responsabilità di governo comportamenti concludenti. Chi se ne frega di cosa motivi queste bestie sanguinarie, quello che importa è fermarli. Bisogna che gli si faccia male. Ha ragione Nicolas Sarkozy, occorre essere spietati nella reazione. Altrimenti i terroristi si fortificano nella consapevolezza di poter distruggere il sistema occidentale dal suo interno. A Saint- Étienne-du- Rouvray uno dei due assassini era noto da tempo alle forze di sicurezza francesi. Era stato arrestato, ma grazie a un regime cautelare attenuato poteva circolare liberamente, seppure con il braccialetto elettronico alla caviglia. Visto che se ne conosceva la pericolosità, piuttosto che lasciarlo andare lo si fosse tenuto sotto chiave, il signorino non avrebbe potuto prestare i suoi servigi alla causa del fondamentalismo e, forse, il povero anziano prevosto potrebbe ancora dire messa.

Bisogna dirlo con chiarezza: contro questo nemico il buonismo non funziona. Lo Stato, nella storia politica dell’Occidente, non è stato concepito per porgere l’altra guancia. Il suo primo dovere, espressione del pactum societatis, è quello di difendere i suoi appartenenti, dovunque e con ogni mezzo. Se uno Stato abdica alla sua funzione fondamentale di defensor communitatis non viene sconfitta una qualsiasi strategia di governo: finisce la civiltà. Che è ciò che vogliono i nostri nemici. Oggi, ci s’interroga sul paradosso di cui questi terroristi sarebbero portatori: essi muoiono per uccidere. Se questo è il livello della riflessione dei Maître à penser italiani siamo belli che fritti. Cosa c’è di misterioso in questo falso paradosso? Tutti gli aspiranti stragisti hanno trovato nella causa dell’islamismo fondamentalista una ragion d’essere che li accomuna e li gratifica. Chiamatela, se volete: orizzonte di senso, fatto è che siano ricchi o poveri, austeri o lascivi nei costumi, integrati o emarginati, costoro hanno scoperto che la vita può avere un significato oltre l’orizzonte finito dell’esistenza terrena. Tutto sta nel cercarlo e poi crederci fino in fondo. In Occidente, invece, da un pezzo si è smesso di credere. La società vocata ai consumi ha deciso di fare a meno di Dio nella dinamica della vita comunitaria.

Il dio della jihad, invece, è vivo e vegeto e reclama costanti tributi. Non importa quanto ci sia di vero dall’altra parte della vita umana, ciò che conta è che loro ci credono e si comportano di conseguenza. L’Occidente ha preferito imboccare la via comoda del relativismo culturale: tutto vale perché nulla è vero. Ora, combatte chi crede mentre chi non crede fugge. Il brutto è che la fuga ci fa perdenti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03