Marina Berlusconi:   una voce nella notte

Qualcosa di importante di cui discutere nel centrodestra c’è e non è l’investitura di Stefano Parisi a “ricostruttore” di Forza Italia.

Marina Berlusconi scrive al Corriere della Sera sulla questione “Vivendi- Mediaset”. Se ci si fermasse al titolo, si potrebbe pensare allo sfogo di un’imprenditrice che si lamenta dell’altrui scorrettezza in un affare di molti quattrini. Invece, la missiva è un’analisi lucida dell’idea di capitalismo con la quale deve fare i conti la nostra contemporaneità. La lettera, muovendo da un fatto specifico e personale, rompe presto gli argini tracimando nei campi della politica, dell’economia e della cultura. E mette in stato d’accusa la stessa storia della destra politica di matrice liberale, tenuta in scacco dalla declinazione liberista del capitalismo. “Impresa è bello”, è stato il credo che, a destra, non è mai venuto meno anche quando le vie del profitto abbandonavano la manifattura per inseguire la rendita finanziaria.

La destra ha assistito silente alla mutazione, colpevolmente ritraendosi per lasciare campo alla supponenza degli apostoli del liberismo. Poi ci hanno messo del loro i cosiddetti “grandi imprenditori” nostrani, autentici straccioni ripuliti, che iniziavano a provare l’ebbrezza dei soldi facili speculando in Borsa piuttosto che rompersi la schiena in azienda. La globalizzazione ha fatto il resto donandoci la libera circolazione dei capitali, delle merci e delle persone e insieme la totale incapacità di governarne la complessità. È stata questa incapacità di coglierne i lati oscuri a far precipitare la nostra comunità al punto in cui è. A fronte di tutto ciò la destra ha deviato sui temi della propaganda piuttosto che affrontare le questioni di fondo, le quali chiamavano in gioco la sua stessa ragion d’essere.

Marina Berlusconi, nelle poche righe della sua comunicazione al “Corsera” ne affronta di petto alcuni. Quando scrive “sappiamo perfettamente che il mondo degli affari ha le sue dure regole, che la legge del mercato può essere spietata. Ma sempre di regole e di leggi si tratta. Tutt’altra cosa è il capitalismo cannibalesco, quello che non cerca il profitto investendo, definendo progetti industriali, concorrendo e rischiando sui mercati, in una parola creando benessere e opportunità di sviluppo. Al contrario, il capitalismo cannibalesco prospera grazie alla distruzione di ricchezza altrui, costruisce il proprio successo sull’altrui rovina. È come una metastasi che si nutre della parte sana del corpo”, ammette un discrimine sul quale la destra dovrebbe interrogarsi. Se anche di notte non tutte le vacche sono nere, come vorrebbe Hegel, bisogna dire che neanche il capitalismo è tutto buono. E determinati comportamenti “cannibaleschi” devono essere combattuti come pericolose metastasi del sistema alla stregua delle più nefaste teorie marxiste.

Le crisi occupazionali, i fenomeni di saccheggio industriale della manifattura italiana, l’invasione a scopo predatorio dei capitali esteri sono effetti non cause di una patologia innanzitutto culturale. Ora, se la classe politica del centrodestra si applicasse a ragionare sul futuro del capitalismo utilizzando i canoni dell’etica, della responsabilità sociale dell’impresa, del legame col territorio e con l’ambiente circostante, dei componenti meta-monetari nella costruzione del profitto, come indica Marina Berlusconi, potrebbe ritrovare quella strada al momento smarrita. Perché il problema odierno della destra non è sapere che farà il malcapitato Parisi, ma qual è la visione del mondo su cui chiama il consenso del popolo, con quali mezzi e con quali paradigmi. Il liberismo senza freni, scatenatosi nel mondo dell’ultimo capitalismo finanziario non può essere il modello da propagandare. La destra deve dimostrare di volere altro, prendendo spunto, e coraggio, proprio dalle parole di Marina Berlusconi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03