Pregare insieme?  Autogol pro jihadisti

Questa storia di accogliere imam e rappresentanze islamiche in massa, oltre 20mila, nelle chiese cattoliche si potrebbe dimostrare un vero e proprio autogol. Se non una trappola. E non tanto per l’insopportabile livello di retorica raggiunto nei telegiornali che si compiacciono di usare le parole del Papa a mo’ di scudo contro chi giustamente oppone un certo scetticismo dopo 15 anni di terrorismo islamico pressoché senza soluzione di continuità. Quanto piuttosto per le conseguenze religiose e dottrinarie, dal punto di vista dei musulmani, di questo gesto: è scritto in numerosi hadith (cioè detti o aneddoti, fate voi) sulla vita del Profeta, su di lui la pace e la misericordia, che proprio quest’ultimo avrebbe affermato che “in ogni luogo in cui un musulmano si reca a fare le proprie preghiere lì è suo diritto farne una moschea.”

Fatta ovviamente salva la buona fede di chi l’altro giorno in Francia e in Italia si è recato a fare testimonianza di fede nelle chiese italiane e d’Oltralpe dopo i barbari sgozzamenti di Rouen, a noi chi ce lo dice che altri fratelli islamici non interpretino questo gesto come il via libera a una seconda fase jihadista che contempli l’assalto e la conquista proprio delle principali basiliche cattoliche in cui i su citati imam si sono recati a pregare insieme ai cattolici?

Un autogol quindi, una vera trappola. Che dimostra anche l’ignoranza delle alte gerarchie cattoliche a proposito della storia e della dottrina dell’Islam. Solamente Antonio Sabella di “Italia moderata” in Italia, in un comunicato diffuso nel tardo pomeriggio di domenica alle agenzie, ha trovato il modo di ricordare un episodio della conquista di Gerusalemme da parte del califfo “ben guidato” (i cosiddetti “murashidun” erano i primi quattro successori dopo la morte di Maometto) Umar, Omar se detto all’italiana, il quale dopo aver siglato una sorta di tregua con il patriarca di Gerusalemme garantì lui la incolumità fisica e, benché invitato a pregare nella Basilica del Santo Sepolcro, si fermò alla porta ammonendo il gentile ospite: “È meglio che io non entri dentro a pregare o la chiesa sarà terreno di conquista e di conversione all’Islam per altri che verranno dopo di me”.

Questo aneddoto storico non è una leggenda campata in aria, ma un esempio: ciò che è contenuto nel Corano, nella sunna e negli hadith della vita del Profeta, è considerato oggi, a 1400 anni da allora, come verità rivelata da prendere alla lettera. E, spiace dirlo, proprio da parte dei militanti dell’Isis c’è l’applicazione più ortodossa della religione islamica e dell’ideologia esistenziale che essa sottende. Se gli adepti, o i fratelli, non sono tutti diventati dei jihadisti ciò si deve, per fortuna, al fatto che gli uomini, anche quelli di fede islamica, in gran parte sono agnostici, non praticanti, menefreghisti. Gente da “volemose bene” che tira a campà. Esattamente come noi cristiani che ce ne freghiamo altamente di andare in chiesa o di non commettere atti impuri, tipo fornicare con chi ci aggrada. Dobbiamo quindi ringraziare la natura umana di solito restia all’applicazione letterale dei principi religiosi se il mondo non conta oggi un miliardo e mezzo di potenziali jihadisti. Però sarebbe bene non sfidare la sorte con queste dimostrazioni di ecumenismo sulla pelle degli altri.

Se davvero i musulmani volevano dare solidarietà per gli sgozzamenti avvenuti in Francia potevano loro invitare noi a pregare nelle moschee visto che Gesù non ha mai detto, e quindi non sta scritto in nessun passo della Bibbia, del Vangelo o degli Atti degli Apostoli, che poi queste sarebbero diventate terreno di conversione forzata al cristianesimo cattolico. Oppure si poteva fare un maxiraduno all’aperto. L’unica cosa da evitare era quella di far entrare in massa gli islamici nelle chiese cattoliche. La controindicazione infatti è contenuta nella dottrina coranica che tanti jihadisti a partire da oggi tenteranno di applicare.

@buffadimitri

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59