Cristiano, scritture, trucidato in Giordania!

In Giordania, regnante Abdullah II, il mitico e, dicono e scrivono i più, il moderato, il tollerante, aperto e ovviamente il più filo occidentale dei leader arabi. Ma forse sarebbe più appropriato “filone” che filo. Ad Amman, proprio nella capitale, è stato ucciso lo scrittore cristiano Nahed Hattar. Non in Libia, non nello Yemen, non in Tunisia, e neppure per qualche vicolo del disastrato Iraq e figuriamo poi in Siria. Nessuno di tutti questi luoghi a rischio di sgozzamento. Luoghi dove l’altissimo pericolo della criminalità diventa una certezza sullo sfondo di Paesi musulmani che, in fondo in fondo, non sono mai stati in grado, per paura, prudenza, indifferenza e/o viltà di prendere di petto i loro fratelli religiosi dediti più che alla preghiera all’assassinio di innocenti, meglio se cristiani.

Ed è anche questo, se non il maggiore, il più infame indizio di una colpevolezza di Stato, a cominciare ovviamente dall’intoccabile e inqualificabile regime saudita che in un modo o nell’altro fa capire all’inclita e al volgo, non solo musulmani, che l’Isis è come quella entità comunista che Jean-Paul Sartre chiamava “chose”, la cosa, una cosa: loro, che nasce da loro. Così distinta e distante dal cristianesimo da non tollerarne, nei loro Paesi, nemmeno i mozziconi di un campanile (farebbe concorrenza blasfema alla torre del muezzin), figuriamoci i preti, le chiese, i fedeli. Che, in effetti, hanno cominciato da anni a subire in loco quello sterminio che l’Isis vorrebbe compiere - e si sta lodevolmente impegnando con non pochi successi, persino in Costa Azzurra! - nel nostro, chiamiamolo così, emisfero, di stampo e di civiltà cristiana dalle radici giudaiche. Ché, al sentire questi due termini indissolubilmente e storicamente intrecciati, la mano corre alla pistola o alla bomba o al coltellaccio anti infedeli.

Dunque: in Giordania, ad Amman, davanti ad un tribunale. Qui si svolge la sanguinaria sequenza dell’ennesimo scempio di un uomo che diventa simbolo - lo era già da vivo e l’ha pagato con la morte - di un’intolleranza che ha le sue origini nello Stato, sfociante infine in un crimine orrendo. Una sequenza che la dice lunga sullo stato delle cose in quei Paesi, persino in quella Giordania, musulmana certamente, ma da sempre ritenuta diversa perché meno chiusa, meno settaria, più laica, più vicina a noi. Ed ecco invece l’incontrovertibile prova se non di una complicità, almeno di una responsabilità nell’uccisione di Hattar, scrittore, vignettista anti-Isis e, ovviamente, cristiano.

“Ovviamente” nel senso che nell’emisfero musulmano, è ovvio che un cristiano sia non solo distinto e distante ma nemico della religione che fonda e riempie di sé quella civiltà in nome e per conto di Allah Akbar (e del petrolio, diciamocelo). Già è mostruoso, almeno nel nostro emisfero occidentale, che si uccida uno scrittore che ha osato prendere per i fondelli quelli dell’Isis, ma è non meno infame che lo si elimini perché cristiano. L’aspetto più grave in questa vicenda lo troviamo nell’atteggiamento del giudice istruttore del tribunale di Amman che, come ha acutamente scritto Gian Micalessin su “Il Giornale”, ha condannato al carcere, dopo che era già stato arrestato, Hattar, per la vignetta raffigurante il “Dio di Daesh” ovvero uno dell’Isis in un’alcova sdraiato in mezzo a due schiave, con a fianco vino e noccioline. Giudizio motivato come “istigazione al razzismo e alla divisione settaria nonché oltraggio alla religione”. Da ciò la delegittimazione dello scrittore di fede cristiana, la sua solitudine, l’isolamento totale. E l’esecuzione della sentenza con colpo di pistola del militante dello Stato islamico. Non si sono ancora avvertite da noi le levate di scudi che la nostrana intellighenzia riversa contro regimi antidemocratici anche per casi assai meno gravi. Tanto più che Hattar era bensì cristiano, ma schierato a sinistra. Soprattutto, continua la congiura del silenzio, del sopire, troncare, minimizzare dei governi democratici nei confronti di quell’emisfero i cui regimi, esemplare quello di Giordania, consentono “crimini” del genere. Quando non li auspicano. Dicono che la Giordania sia la mia vicina all’Occidente. Figuriamoci il resto.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58