Quando l’Unesco insulta la Storia

Il Muro del Pianto, il Tempio di Israele e la Storia. E l’Unesco che ha compiuto l’ennesima rapina, sottraendo all’Ebraismo il Muro del Pianto. L’Unesco è quell’agenzia onusiana che, nel gergo degli addetti alla diplomazia, si occupa di tutto e di niente (bambini da istruire nel Botswana, siti archeologici, istrici dispersi nella savana, donne in crisi di nervi in Nigeria, infanzia e computer, sottosviluppo e sanscrito antico, ecc.). Ma quando se ne occupa concretamente, in nove casi su dieci fa danni. Anche e soprattutto alla Storia, cioè a noi del genere umano. Solitamente, da almeno trent’anni, l’Unesco, mette nel mirino Israele, non soltanto in virtù della numerosa presenza “economico-finanziaria” del mondo arabo ma, soprattutto, per la pavidità, la paura e il terrore di rivalsa di quel mondo verso molti Paesi occidentali (che ci sia di mezzo il petrolio?). Temiamo, peraltro, che al fondo di questa pavidità occidentale, gratta gratta troveremo tracce di inscalfibile antisemitismo e antisionismo.

Ebbene, la solenne risoluzione dell’Unesco ha assistito a uno dei soliti giochi delle tre tavolette in cui noi italiani siamo docenti universitari. Ci siamo astenuti, così, signorilmente, distaccati, “au-dessus de la mêlée”, neutrali. Insieme ad altri venti Paesi, non da soli, si capisce. Peccato però che fra questi non ci fossero gli Stati Uniti, la Germania e l’Inghilterra, i nostri alleati privilegiati per antonomasia.

Complimenti, cari delegati italiani all’Unesco. E, soprattutto, dopo questa bella impresa, inviate a Matteo Renzi una copia della risoluzione approvata grazie, anche, alla vostra astensione. Perché a Renzi? Perché, come voi forse non ricorderete, il nostro Premier pronunciò nel 2015 alla Knesset di Gerusalemme uno dei suoi migliori discorsi: “Shalom! A voi, a Gerusalemme, che solo a nominarla evoca brividi ed emozioni. Il Salmo ci trasmette l’immagine delle tribù di Israele che salgono verso il Tempio lodando il nome del Signore, cantando la gioia...”. Appunto, il Tempio, quello distrutto dall’Imperatore Tito nel 70 d.C., lo stesso Tempio che seicento anni prima era stato distrutto da Nabucodonosor (586 a.C.). Le vestigia si possono vedere a Roma sotto l’Arco di Costantino.

È Storia, né più né meno. La cultura, le radici, l’identità, la religione ebraica (compresa quella cristiana, si capisce) hanno pregato, contemplato e pianto nel Muro, hanno riannodato e riplasmato origini e verità ben prima dell’avvento della conquista maomettana del 638 d.C., conquista che ha poi costretto alla coranizzazione di Gerusalemme rileggendo la storia e reinterpretandola a proprio uso e consumo, anche se in nessuna sura coranica si parla di Gerusalemme e nemmeno vi si accenna a patria di Maometto, il quale mai mise piede nella città caput mundi dell’ebraismo religioso. Che è nostro antenato benché da millenni perseguitato da Crociati e interessi vari; nostro archetipo con quel Gesù Cristo del quale anche Papa Francesco ci ricorda additandola ad esempio con “la cacciata dei mercanti dal Tempio”. Il Tempio, proprio quel Tempio, eliminato ora dall’agenzia onusiana. Con un tratto di penna, ecco che quelli dell’Unesco cancellano i nomi ebraici da tutto ciò mettendoci quelli arabi; anzi, sovrapponendo agli accadimenti reali un’altra storia, un’altra verità, altri fatti.

Quali? Quelli della convenienza sottomessa al ricatto, dell’unidirezionale politically correct che da decenni indica in Israele, unico Paese libero, democratico e “occidentale”, un estraneo, un caso anomalo della storia, una realtà da espungere, un puntino minaccioso nel mondo dell’Islam del quale, peraltro, sono noti i diffusissimi regimi illiberali, i sistemi antidemocratici, le polizie segrete, i fanatismi, i terrorismi e, ahimè, i profughi e i migrantes in fuga verso di noi. Benché provvisoria, questa risoluzione Unesco getta un’ombra di vergogna sulla nostra decisione astensionistica, una scelta grave che sfiora l’infamia, inspiegabile e, soprattutto, pilatesca diplomaticamente, politicamente doppiopesista. Un insulto alla Storia.

Che ne pensa il Premier?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:01