Il fenomeno  dei vedovi di Obama

Per anni ed anni il nostro Paese è stata segnato dal fenomeno dei vedovi inconsolabili del comunismo internazionale. Il muro di Berlino era caduto seppellendo non solo il sistema politico dell’Unione Sovietica ma l’intero edificio ideologico che aveva segnato in maniera indelebile il Novecento. Ma in Italia, più che in ogni altro Paese, i nostalgici della rivoluzione proletaria, del partito avanguardia dei lavoratori e della centralità della classe operaia continuavano senza sosta a sostenere e celebrare i loro miti tragicamente infranti.

Un fenomeno analogo si sta verificando adesso. I nuovi vedovi inconsolabili sono quelli di Barack Obama. Che non piangono la scomparsa politica del leader ai loro occhi provvisto di tutte le caratteristiche per restare nella storia come il migliore di tutti i democratici ed i progressisti di ogni tempo, ma che continuano a portare avanti una loro personale battaglia contro il nuovo presidente degli Usa, Donald Trump. Come se la campagna elettorale non fosse mai finita e la candidata battuta Hillary Clinton fosse stata sostituita in corsa dal “migliore” in senso assoluto Obama.

Se il fenomeno fosse privo di conseguenze politiche questa singolare forma di paranoia, in tutto simile a quella dei vedovi del comunismo, meriterebbe al massimo un qualche approfondimento di natura psichiatrica. Ma il guaio è che la vedovanza di Obama portata al parossismo da alcune caste dell’informazione, della cultura e del potere può provocare guasti di gravi dimensioni. Ed è bene denunciare per tempo il fenomeno per evitare che questi guasti si possano verificare con gravi conseguenze sulla politica internazionale del nostro Paese.

Il guasto principale è creare una frattura prima psicologica e poi politica tra Italia e Stati Uniti. Non c’è bisogno di essere trumpisti per rendersi conto che disegnare il nuovo presidente Usa come un usurpatore al soldo del nemico storico dell’Occidente rischia di incrinare il rapporto da sempre esistente tra Italia e Stati Uniti. Paradossalmente quelli che condannano Trump perché amico di Putin stanno lavorando per aiutare il presidente russo a conquistare quell’egemonia sull’Europa che per un centinaio di anni è stata mantenuta dai presidenti americani, siano essi stati democratici o repubblicani.

Per scongiurare questo pericolo non c’è affatto bisogno di convertirsi al verbo di Trump. Basta fissare che il criterio con il quale giudicare la nuova amministrazione americana non deve essere il pregiudizio ideologico, come quello delle vedove di Obama, ma solo l’interesse nazionale del nostro Paese.

Fino ad ora questo interesse ha trovato qualche riscontro nella politica estera del democratico Obama? La risposta non si presta ad equivoci. Il bilancio è solo negativo. La politica fallimentare Usa nel Mediterraneo e la politica antirussa nel continente europeo ha esposto l’Italia al caos proveniente dal Sud e dal Medio Oriente e lo ha marginalizzato nei confronti dell’Europa continentale.

Il nostro interesse è che Trump corregga questi errori marchiani commessi dal leader tramontato. Verso il quale non ci può essere alcun tipo di nostalgia ma solo l’amara consapevolezza che nella storia esistono i leder che sbagliano, anche se sono giovani, spigliati e politicamente corretti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:57