Berlusconi e la “via eroica”

In principio fu il “Patto del camper” di cui furono protagonisti Bettino Craxi, Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti. Eravamo in un’altra Era geologica: la “Prima Repubblica”. Poi, con l’avvento della Seconda sono precipitati a valanga sulla politica altri “patti” che hanno segnato il profilo del bipolarismo nelle meccaniche democratiche. Il metodo del “patto”, sebbene fortemente osteggiato dai difensori della purezza dell’ideale di matrice liberale del parlamentarismo, ha costituito un attendibile strumento d’interpretazione dello spirito del tempo orientato a incanalare l’avvento del decisionismo nell’alveo dell’azione di governo costituzionalmente non sottratta agli effetti attutenti dell’intermediazione parlamentare. Cosicché nel volgere di un quarto di secolo si è passati dal patto delle “sardine” a quello della “crostata”, al “caminetto”. E, ancora, a quello, forse il più nefasto, consegnato alla storia come il “Patto del Nazareno”, dal nome della via capitolina dove è ubicata la sede del Partito Democratico.

Nell’occasione fu Matteo Renzi ad accogliere l’avversario Berlusconi tributandogli grandi onori, salvo a tradirlo alla prima prova significativa: l’elezione, nel 2015, del nuovo capo dello Stato. Comunque, che si trattasse di pesci o di dolci, di figure evangeliche o di arredi domestici, direttamente o indirettamente, pro o contro, la sostanza di tutti quegli accordi presi fuori dai contesti istituzionali, nel tempo della Seconda Repubblica, ruotava intorno alla posizione del medesimo personaggio, il vecchio leone di Arcore. Ma c’è stato un altro patto nella storia recente del Paese che ha una natura totalmente diversa dagli altri. Si tratta del “contratto con gli italiani”, firmato da Silvio Berlusconi in diretta televisiva dagli studi di “Porta a Porta” alla vigilia delle elezioni politiche del 2001. Da quella singolare manifestazione di volontà è emersa la consustanzialità della personalità del Berlusconi leader di partito alla cifra pattizia della sua azione politica. Che, però, non va confusa con la sua storia imprenditoriale. Il sinallagma che sostanzia lo speciale rapporto tra il leader e gli elettori non ha nulla a che fare con il regime giuridico che regola i rapporti commerciali o patrimoniali tra persone. Il “contratto” è piuttosto il patto stipulato tra un corpo, quello del capo, e un’entità concettuale che è il “popolo”.

Gli italiani ai quali si rivolge Berlusconi non sono la sommatoria di persone singolarmente considerate ma una sintesi unitaria di soggetto fisico collettivo e di entità spirituale di dimensione comunitaria. Si potrebbe perfino azzardare che vi sia una sorta di mistica del patto che il leader del centrodestra pone a fondamento e insieme a giustificazione escatologica dell’azione politica. Questo, a nostro avviso, è la ragione per la quale, al pari degli antichi condottieri che si apprestavano ai riti sacri in vista della battaglia, la celebrazione del patto prima della sfida delle urne costituisce nella fenomenologia berlusconiana una sorta di rito propiziatorio.

Ma i riti, come ben spiegherebbero antropologi e storici delle religioni, necessitano di uno spazio sacro entro il quale compiersi. Allora il “Pomerium” degli antichi si trasforma, nel tempo storico della televisione e dei media, nel salotto di “Porta a Porta” padroneggiato dal suo “Trismegisto”, Bruno Vespa. L’altare assume la forma di una scrivania e l’atto sacrificale è surrogato dall’apposizione in calce della firma in chiaro del leader al patto chiamato a rinnovare un eterno presente. Come se l’inchiostro che lascia traccia sul foglio fosse non sostanza chimica ma sangue, linfa vitale che si trasmette spiritualmente dal capo al suo dante causa: il “popolo”. L’altra sera, nel corso dell’evento televisivo, l’inverarsi della palingenesi del Berlusconi politico ha prodotto il “Patto di San Valentino”. Francamente non rileva l’oggetto del “contratto” quanto piuttosto la sua premessa che interviene a decodificare, per il grande pubblico, il simbolismo tradizionale del “ritorno dell’eroe”. Quali sono i messaggi? Il primo, di immediata lettura, riguarda la preoccupazione della maggioranza degli italiani per la mancanza di lavoro. La disoccupazione, argomenta Berlusconi, ha raggiunto livelli insostenibili. L’impegno solenne del “suo” centrodestra vittorioso è di riportare, nel corso della prossima legislatura, il tasso di disoccupazione nuovamente sotto il livello della media europea.

Poi si scorge un secondo piano interpretativo, quasi esoterico. La premessa al patto, in questo caso, agisce da fattore funzionale all’innesco della dinamica nietzschiana dell’essere che ritorna dopo essere tramontato. “Devo scendere nuovamente in campo per ripristinare l’equilibrio violato all’ordine naturale delle cose”, è ciò che la presenza in video di Berlusconi sembra trasmettere in chiave subliminale allo spettatore. Questo secondo livello, il più importante, occultato allo sguardo di superficie trascende la specificità del contenuto pattizio per richiamare in gioco, nelle corrispondenze dell’idem sentire tra il popolo e il suo capo, la sostanza materiale e spirituale dell’uno che si fonde con il tutto.

Dove l’individuo Berlusconi non aspira a ricevere mandato a rappresentare gli italiani ma si offre “fisicamente” di impersonare virilmente la natura femminina del “popolo” nella sua dimensione comunitaria. Ad essere l’arcitaliano, alla maniera in cui lo fu per molti aspetti Curzio Malaparte.

Aggiornato il 16 febbraio 2018 alle ore 09:17