Governo Pd-5 Stelle? A volte ritornano

Il naufragio del negoziato centrodestra-Cinque Stelle per la formazione del Governo sta per essere certificato dall’esploratrice Elisabetta Casellati.

Non che non si sapesse in partenza che il mandato ricevuto dal presidente Sergio Mattarella fosse una perdita di tempo vista l’intransigenza, che noi preferiamo chiamare malafede, dei Cinque Stelle nel voler imporre all’interlocutore veti irricevibili in un contesto democratico. Ma la storiella del mai-con-Berlusconi è solo l’ultima, improbabile foglia di fico che il “Movimento degli onesti” prova a mettere su una trattiva con il centrodestra che è viziata in radice. L’Italia alla quale pensano i grillini non è la stessa del centrodestra: manca una visione condivisa del futuro del Paese. Da qui l’estrema difficoltà a governare insieme, a prescindere dal nodo-Berlusconi. Ma se la pista che porta a destra è ostruita da quale parte si va? Resta in piedi la seconda ipotesi: l’accordo tra i Cinque Stelle e il Partito Democratico. In linea di principio, anche a sinistra dovrebbe valere la medesima obiezione: nessuna compatibilità di visione con il Movimento pentastellato.

Tuttavia, per le categorie del politico nulla è scontato, soprattutto la coerenza. Rispetto alla controparte del centrodestra il Partito Democratico, campione di quell’area politica, ha una tara genetica che potrebbe spiegare l’eventuale cambio repentino di posizione. La sinistra aspira all’egemonia che può essere esercitata soltanto mediante la conquista e la successiva tenuta del potere. Nel 2013, seppure per il rotto della cuffia, il Pd è riuscito a conquistare il “Palazzo” e a tenerlo a dispetto dei numeri parlamentari ballerini e della volontà degli italiani. I “dem” hanno imbarcato di tutto nella loro maggioranza pur di restare saldi sulla plancia di comando. Poi c’è stato il 4 marzo.

Un voto pesante come un macigno ha ridotto la sinistra in macerie. La conseguenza più ovvia di quella inequivoca manifestazione della volontà popolare avrebbe imposto l’obbligo alla forza politica sanzionata con la sconfitta di lasciare le casematte occupate e di ritirarsi in buon ordine dietro la linea dell’opposizione. Ma il naturale istinto a restare abbarbicati al potere conquistato fa sì che i “dem” ripensino la condotta di sobrietà e coerenza che inizialmente sembrava avessero abbracciato. Profittando dello stallo venutosi a creare, pur di restare in sella, il rendersi disponibili all’unione innaturale con i Cinque Stelle potrebbe servire lo scopo. Sarebbe un’oscenità dal punto di vista politico ma se il fine è quello di conservarsi al potere qualsiasi accordo o patto che lo consenta, anche col diavolo, diviene commestibile.

Quindi, nessuna meraviglia se dalla prossima settimana le strade di Roma saranno bagnate da uno strano liquido prodotto dallo scongelamento della posizione del Pd a beneficio dei Cinque Stelle. Per favorire il lieto evento sono già da tempo in azione le squadre d’assalto dei cosiddetti “intellettuali organici” appostati come cecchini nelle redazioni dei giornali e nei salotti televisivi dei talk-show, terrorizzati all’idea che il centrodestra possa tornare a guidare il Paese.

È divertente osservare la pletora di postulatori della “buona causa” industriarsi in una caccia al trova-le-somiglianze-tra Pd e Cinque Stelle. I più fantasiosi tra loro si sono spinti a immaginare il ritorno ad uno stato edenico della socialdemocrazia grazie all’incontro tra quelle che considerano due facce della stessa medaglia progressista. Sarebbe un proposito legittimo se non fosse che si fonda su una truffa colossale della quale gli elettori dovrebbero essere avverti. La truppa degli intellettuali impegnati alla magnificazione miracolistica dell’accordo Pd-Cinque Stelle ragiona sull’ineluttabilità della convergenza dei vertici come effetto della presa d’atto di una supposta volontà di una base elettorale che essi assertivamente ritengono già ampiamente omogenea. Ciò è palesemente falso!

L’ascesa grillina, in particolare al Sud, ha certamente beneficiato di un travaso di voti dal Pd, ma si è trattato di un fenomeno parziale che non può essere generalizzato all’intero flusso rilevato in transito verso i Cinque Stelle. Basta fare due conti. I grillini alla Camera hanno raggiunto il 32,68 per cento dei consensi; il Partito Democratico il 18,72 per cento; “Liberi e Uguali” il 3,9 per cento. Se i voti provenissero tutti dal medesimo bacino politico-ideale vorrebbe dire che oltre il 55 per cento dell’elettorato è di sinistra. Ma quando è accaduto, nella storia repubblicana, che la sinistra fosse maggioranza assoluta nel Paese? Mai.

Quindi voler accomunare tutti quei voti fingendo che abbiano la stessa matrice è semplicemente truffaldino. I Cinque Stelle dovrebbero sapere che il loro elettorato si compone di una consistente fetta di delusi di centro e di destra che hanno messianicamente sperato nella palingenesi della politica grazie all’avvento del “partito degli onesti”. Ancor più dovrebbero comprenderlo quegli elettori che di sinistra non sono mai stati ma che adesso si trovano, per eccesso di estraniazione rispetto alla propria collocazione naturale, a fare la parte degli “utili idioti” funzionale alla perpetuazione della sinistra al potere. Ma a tutto c’è rimedio. L’importante è ravvedersi per tempo dell’errore commesso.

Aggiornato il 19 aprile 2018 alle ore 13:52