L’Italia ritorna alle superstizioni

1883, Francesco Paolo Michetti, celebratissimo pittore di tendenza naturalistica, dipinse quello che è considerato il suo capolavoro, “Il voto” (nella foto), una tela che oggi si può ammirare (se il recente avveniristico riordinamento non l’ha relegata nei depositi) nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (Gnam). L’enorme opera (250 x 700 cm.), che per la sua veridicità lascia sgomenti, rappresenta un momento della festa del ventisette luglio dedicata a San Pantaleone, celebrata sul sagrato della chiesa del Santo, a Miglianico dAbruzzo. I fedeli che vogliono ringraziare il santo per la grazia ricevuta strisciano a terra, probabilmente leccando il suolo, fino a raggiungere l’altare e il tabernacolo.

Quella dipinta da Michetti era l’Italia di una religiosità cattolica fondata sulla fede nei miracoli, nelle grazie che i santi concedevano per superare le difficoltà della vita, ma anche per curare le malattie verso le quali la scienza si dimostrava impotente. I progressi della scienza medica e della farmacologia hanno ridotto gli spazi per le credenze miracolistiche, ma non le hanno estirpate del tutto; anzi, esse trovano oggi una nuova legittimazione, addirittura nel “contratto” di governo stipulato tra Movimento 5 Stelle e Lega, nel quale si dà spazio e consenso ai fautori del “no-vax”, e magari del “no-Tav”.

Un piccolo, non significativo dettaglio? No, un forte segnale, emblematico di una cultura dichiaratamente ostile a ogni tipo di “casta”, da quella politica a quelle “scientifiche”, con le loro pretese a una verità che va invece riconosciuta come prerogativa della sola autentica “vox populi” che si esprime attraverso i social e il Rousseau à la Casaleggio. Il contratto esprime organicamente questa concezione, a partire dall’ostilità, appena mascherata, verso l’Europa, per non dire verso il Parlamento, nel quale non siedono più i “rappresentanti del popolo” ma “impiegati di Stato”, forti di un arrogante diritto a non avere altri doveri se non quelli verso i loro datori di lavoro.

Non siamo di fronte a un semplice cambio, a una alternativa di governo, ma a un’alternanza, che si contrappone nella sostanza a una lunga storia di sviluppi della democrazia e della scienza. È probabile che i due contraenti del contratto non riescano a mettere del tutto a punto i loro progetti; qualche ostacolo, interno o esterno, vi si opporrà, ma la loro intenzione è chiara ed esplicita. Quando il loro governo si sarà insediato, si vedrà come si collocheranno le forze di “opposizione”. Non crediamo potranno opporre argini o barriere significative. Anche le loro culture politiche sono antiquate, logore, inadeguate.

Per riaprire il discorso, occorrerebbe rifarsi ai moniti di Marco Pannella sulla crisi della e delle democrazie, o sul diritto umano alla conoscenza e alla verità, ormai universalmente travolta dall’invasione delle “fake news” e delle “post-verità”. Pannella è morto solo due anni fa. Ma chi si ricorda di lui?

Aggiornato il 17 maggio 2018 alle ore 21:32