“Contratto” Lega-Cinque Stelle e cautela di giudizio

Il gesuita padre Virginio Rotondi raccontò, in una delle sue apparizioni televisive, un’esperienza capitatagli. Avendo preso a discutere con un amico ateo il quale sosteneva che non vi fosse nulla dopo la morte, il sacerdote gli rispose: “Sarà come dici, ma se una volta dall’altra parte ti toccasse d’incontrare Dio, pensa che fregatura avresti preso a spendere una vita a convincerti che Lui non esiste”. L’aneddoto calza a proposito con il tentativo di Lega e Cinque Stelle di formare il Governo.

Ciò che impressiona è l’ampiezza del fuoco di fila preventivo della quasi totalità dei media e dei commentatori contro l’ipotesi che la combinata Di Maio-Salvini ce la possa fare a realizzare anche in parte il vituperato “contratto” di governo. Emulando padre Rotondi viene di pensare: “Sarà pure come dicono tutti, ma mettiamo il caso che i due ci riescano, sai che fregatura per i tanti che hanno scommesso sul fallimento dell’accordo”. Dovesse andare così Lega e Cinque Stelle si prenderebbero l’Italia per molti anni e gli odierni oppositori sarebbero asfaltati. Quindi, non sarebbe sbagliato se, soprattutto nel centrodestra, si adottasse cautela di giudizio.

Prima di gridare all’attentato alla democrazia e alle libertà personali sarebbe saggio riflettere sul perché il Paese è finito tra le braccia dei partiti che hanno rappresentato, incanalandola, la protesta sociale. Le schematizzazioni teoretiche affascinano ma la realtà vince sempre.
Ora, il “contratto” è contestabile sotto molti aspetti, tuttavia buttarlo alle ortiche come scarto di lavorazione del pensiero razionale è ingiusto. Oltre che fastidiosamente snob.
In particolar modo i convinti liberali dovrebbero essere gli strenui difensori del principio di lealtà in base al quale se si ritiene fondata una tesi o un’idea lo si deve ammettere e non negarla pregiudizialmente solo per il gusto di non dover dare ragione all’avversario.

Accantonando per il momento l’esame dettagliato dei 30 punti di programma previsti dal “contratto”, si riscontra qualcosa di positivo nella metodologia adottata dai contraenti. Non dispiace affatto che il duo Salvini-Di Maio abbia sovvertito la prassi tradizionale in voga nella Seconda Repubblica la quale, alle prese con l’ansia della ricerca a tutti i costi del leader carismatico, puntava a concentrarsi sulla spendibilità dell’immagine provvidenziale del candidato premier invece che sulla sostanza dei programmi da realizzare. Proprio Silvio Berlusconi, per sua stessa ammissione, è stato vittima del meccanismo patogeno dell’aggregazione delle coalizioni anche in assenza di patti programmatici inderogabili.
Quante volte si è denunciato il fatto che i partner minori del “Cavaliere”, abusando dello strumento dei veti incrociati, gli abbiano impedito di realizzare la rivoluzione liberale attesa dagli italiani? Ora, il fatto che da dieci giorni il Paese sia stato costretto a parlare delle svariate bozze del “contratto” ha fatto sì che tra la gente, oltre che tra gli addetti ai lavori, tornasse a manifestarsi quello spirito di partecipazione alla politica scomparso da tempo dai radar della storia.
Sentire il pensionato al bar o la casalinga al mercato dire la propria sulla fattibilità della Flat tax o del reddito di cittadinanza è stata una gioia per il cuore.
Inoltre, con questa “Terza repubblica”, che qualcuno ha definito ingenerosamente “modernariato da Prima repubblica”, tornano i partiti.

Ora, in molti si sono spesi a combattere la vulgata giustizialista che dipingeva tali corpi intermedi della società, deputati alla mediazione e alla sintesi degli interessi e dei bisogni dei cittadini, alla stregua di sentine di tutte le nefandezze e postriboli del malaffare. È stato sostenuto, in netta opposizione ai diffamatori della cosiddetta partitocrazia, che una democrazia non “agìta” dall’azione concorrente dei partiti fosse una democrazia mutilata.
Adesso che nel “contratto” al primo punto viene sancito il ritorno del primato della politica, esplicitato dal riconoscimento di una responsabilità solidale dei partiti della maggioranza parlamentare per l’azione di governo, si grida allo scandalo. Finire per abbracciare le tesi storiche di Marco Travaglio e della lobby giustizialista de “Il Fatto Quotidiano”, e prima ancora dell’iper-forcaiolo Paolo Flores d’Arcais e del gruppo di “Micromega”, pur di parlar male del tentativo leghista a governare con i Cinque Stelle, suona come la disperazione di quel tale che per di far dispetto alla moglie si tagliò gli attributi.

Molte cose di questo accordo non piacciono. Tuttavia, va riconosciuto il fatto che questo documento offra una visione del futuro che Lega e Cinque Stelle hanno deciso di condividere. Adesso si saprà con chiarezza dove Salvini e Di Maio vogliono condurre il Paese. Un esempio. Nel “contratto” c’è scritto che il Governo punterà su Green Economy ed Economia circolare. Testualmente si afferma che: “È necessario che ogni intervento del decisore politico si collochi in una strategia di Economia circolare…in contrapposizione con il modello di Economia lineare”. Vorrà pur significare qualcosa una scelta di campo così netta? Si tratta d’intraprendere una specifica strategia per lo sviluppo economico. Sta ai cittadini decidere se assecondarla o contrastarla. Resta il fatto che buona politica significa prendere decisioni. Che si fa? Li si svillaneggia per questo?

La verità è che se si vuole provare a sconfiggere il nuovo asse politico grillino-leghista bisogna pensare a un’opposizione costruttiva, fondata su argomenti ben più seri e credibili dei banali motti di spirito o del sarcasmo insolente dispensato un tanto al chilo. Perché, come dimostrano i flussi elettorali, la situazione è seria e qui non ride più nessuno.

Aggiornato il 22 maggio 2018 alle ore 12:26