Riforme. Sotto il vestito niente

Soccorre l’immortale Carlo Vanzina di fronte alla lettura integrale del programma del contratto anche e soprattutto perché, nella ricerca sia pure intensa di qualche cenno di riforma, il nulla ci è apparso tanto da farci mutuare l’algoritmo cinematografico del Sotto il vestito niente.

Intendiamoci, non siamo su Scherzi a parte, semmai con qualche spruzzata del Tiki Taka laddove la partita a poker del duo vincente sembrerebbe a volta finire in un pareggio, invece c’è chi ha vinto e chi ha perso. Vedremo, per ora non sembra il Salvini a guadagnarci non fosse altro perché liquida, parole sue, il centrodestra.
E poi? Comunque niente processo alle intenzioni e, come si dice a Milano in casi come questi, ciapa su e porta a cà. Per chi ha perso, si capisce.

Il punto focale al di là del vuoto, anzi attorno al vuoto riformatore del governo in fieri, è una sorta di controcanto che viene da lontano, dal Grillo tonitruante e antipartitico che ha sempre privilegiato il no a tutto e a tutti piuttosto che il sì a qualcosa, sia pure con aggiunte, differenze, proposte, novità.

Le novità non stanno naturalmente nel no tav, no triv, no Euro, no Fornero, no Ilva, no vaccini ecc, ma in tutto ciò che si porta dietro qualsiasi no, al di là delle evidenti contestazioni alla Costituzione che vedremo fra poco. Visti da Milano, questi no sembrano provenire dalla luna, estranei ad un’area cui, spesso, si è costretti a respingere tanti sì, ma qui Milano non c’entra, c’entra Roma come governi centrali.

Colpisce, tanto per citare un esempio, quel no alla ferrovia e/o alta velocità scappato fuori dalla bocca di un Di Maio tanto euforico tanto imprudente a proposito di viaggi veloci quanto illogicamente reazionario rispetto a un’opera che rientra in pieno non solo nell’esigenza vitale di infrastrutture del genere in tutto il paese, ma richiama ciò che è alla base del boom di Milano.

Un boom che trascina verso l’alto tutto il paese, una crescita imponente che sta tanto in una Expo di successo quanto, piuttosto, nella efficienza delle reti della Metropolitana Milanese utilissime agli utenti dei tanti quartieri ma eccellenti quanto a connessione con i grandi assi di comunicazione regionale, nazionale e internazionale in cui l’alta velocità ferroviaria, accorciando i tempi di percorrenza, serve ai cittadini ma anche alle merci. È dunque il sistema a rete delle vie di comunicazione che ha fatto di Milano un’area che va ben al di là del comune e della regione. Di Maio, t’è capii?. direbbe il Porta.

Quanto al resto, soprattutto alla Costituzione della Repubblica Italiana a volte messa sotto accusa dai vincitori con tanta voglia di cambiarla, ha ragione da vendere il nostro direttore quando ricorda l’esigenza di un’opposizione degna di questo nome altrimenti la democrazia è a rischio sullo sfondo dei timidi accenni di Forza Italia e dei silenzi, è il proprio il caso di dirlo, tombali di un Pd rimasto muto come un pesce quanto ad analisi della sconfitta e prospettive future.

Si pensi soltanto al proposito di eliminare l’art.67 a proposito dei parlamentari ognuno dei quali, secondo il dettato costituzionale, rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Il contratto stipulato fra i due, derivato, ma solo per il nome, dal Contract di Giangiacomo Rousseau, per il contenuto c’è l’altro contratto rousseauno casaleggiano che contesta persino lo Statuto Albertino del 1848 che recita: “I deputati non rappresentano le sole province in cui furono eletti ma la Notazione in generale”.

Adesso si vorrebbe che i parlamentari diventassero una sorta di funzionari di partito giacchè, come declamava con la consueta eleganza Grillo qualche tempo fa: “I parlamentari non possono fare il cazzo che gli pare e se qualcuno vuole decidere voti e alleanze indipendentemente dal mio imperativo, lo prendo a calci nel culo”. Perciò, no alla libertà di coscienza del deputato sostanzialmente cancellata dall’obbligo di appartenere ai gruppi parlamentari, conditio sine qua non per la rielezione. E il bello è (si fa per dire) che i Cinque Stelle, nati per una lotta a oltranza contro i partiti tradizionali (la partitocrazia) vorrebbero ora assegnare proprio ai partito un potere diretto e immediato che non hanno mai avuto. Un riforma, questa?

No, siamo all’avvio della Controriforma. E l’opposizione si dia da fare.

Aggiornato il 23 maggio 2018 alle ore 11:59