Il mondo che gira in 80 giorni

Saranno ricordati come gli ottanta giorni della Repubblica, un tripudio di colpi di scena a valanga, una serie di cialtronate da telenovelas con Veronica Castro. Ci sono un lupo, un agnello e un pollo.

Sembra l’inizio di una barzelletta ma non lo è. In realtà, in questi quasi tre mesi di consultazioni, Matteo Salvini ha fatto la parte del lupo, Luigi Di Maio quella dell’agnello e Sergio Mattarella quella del pollo. Salvini si è imbarcato in questa storia ben sapendo il finale e ha rosicchiato giorno dopo giorno la scena ai Pentastar appropriandosi dei loro temi, facendo la figura del mediatore proattivo sul programma e tenendo il punto su Paolo Savona.

Di Maio è passato in breve tempo da figura centrale della Terza Repubblica ad agnello sacrificale sull’altare del successo di Salvini, il primo napoletano - come ha ben ricordato qualcuno - che si è fatto fare il gioco delle tre carte da un milanese. È stato l’ultimo ad accorgersi che la Lega molto probabilmente lo aveva usato o, nella migliore delle ipotesi, lo aveva relegato a figura minore che va a rimorchio dei leghisti nonostante i grillini avessero il doppio dei loro voti.

Mattarella ha fatto la figura del pollo perché avrebbe dovuto usare buon senso: ricevuto il pizzino dalla cancelliera Angela Merkel con il nome di Paolo Savona scritto tra i cattivi e appurato che Salvini avrebbe usato questo nome per far saltare tutto e capitalizzare in termini elettorali la partita delle consultazioni al grido di “no ingerenze europee, padroni a casa nostra”, avrebbe dovuto dare il via libera al Governo spiegando alla signora Merkel senza timori reverenziali che era l’unico modo per smascherare il bluff pentaleghista.

Abbiamo fornito uno spettacolo pietoso, con marce indietro, colpi di teatro, paraculate, versioni false delle consultazioni, una roba tragicomica che però ha il merito di aver fatto crollare tre luoghi comuni.

In primis Di Maio si è fatto buggerare da Salvini in maniera indegna dimostrando che il teorema alla base del Movimento 5 Stelle è falso: non è vero che l’uomo della strada - il ragazzo stupendo di grilliana memoria - se messo alla prova è migliore del politico di professione. Di Maio non ne ha azzeccata una: ha cambiato idea mille volte, è passato dalla messa in stato di accusa del Presidente Mattarella alla collaborazione con il Quirinale, è passato dalla purezza della razza grillina agli accordi con il nemico lumbard, è passato dal Presidente del Consiglio eletto dal popolo a un oscuro avvocato raccattato in una università.

L’altro luogo comune, che è saltato definitivamente, è quello del leghista barbaro e incolto: la Lega ha dimostrato un acume sopra la media (ci vuole poco dato il contesto) facendo un sol boccone dei grillini e del Quirinale toccando vette nemmeno lontanamente immaginabili.

Anche il luogo comune che vorrebbe un saggio alla Presidenza della Repubblica è completamente saltato: del pasticcio sul nome di Paolo Savona si è già detto. Mattarella è cascato come un ingenuo sulla buccia di banana buttata da Salvini facendo la figura di quello che prende ordini da Bruxelles. Adesso si barcamena tra un Governo Cottarelli nato già morto e con zero voti in Parlamento e un tentativo di riesumare l’alleanza giallo-verde tornando sui suoi passi. Il gioco di Salvini è sin troppo facile adesso: declinerà ogni proposta a meno che non ne arrivi una indecente. Si dice che Mattarella stia tentando anche il gesto della disperazione: Paolo Gentiloni. Il capo dello Stato si è incartato in maniera inaspettata. Capita a tutti di incartarsi ma non in questo modo. A margine c’è Giorgia Meloni che, dopo tanta coerenza dimostrata rifiutando di appoggiare il pentaleghismo al Governo, vuole smarcarsi dal centrodestra probabilmente conscia del fatto che la sua onestà intellettuale non abbia pagato in questi lunghi ottanta giorni.

Nel fu centrodestra resta solo Silvio Berlusconi che in questo frangente non ha toccato palla e non ha proferito verbo. Tutti scappano da lui quasi fosse un peso (non ultima Giorgia Meloni), quasi come fosse uno con cui non conviene farsi vedere in giro. Poi magari ti ci allei in campagna elettorale perché un dieci per cento in più fa comodo ma tutto lì. Cose che capitano quando il tempo passa e non ci si rassegna alla fine della propria stagione politica facendosela raccontare da quattro pasdaran, da una serie di yes men e da un sempre più esiguo gruppo di irriducibili affezionati guardando i quali ti illudi che il tuo tempo possa non finire mai.

Aggiornato il 01 giugno 2018 alle ore 10:53