Sui migranti il primo no dell’Italia alla Ue

Dalle parole ai fatti. È ciò che si aspettano gli italiani dall’attuale governo che oggi affronta l’iter della fiducia parlamentare. A cominciare dall’Aula del Senato. E se di fatti si deve parlare, non c’è dubbio che il primo passo concreto compiuto dal neo-ministro dell’Interno, Matteo Salvini, va nella giusta direzione. Riguarda il primo no secco opposto all’Europa. L’argomento, messo sul tavolo del Consiglio europeo degli Affari Interni che si tiene oggi in Lussemburgo, è la riforma delle norme sul diritto d’asilo europeo contenute nel Trattato di Dublino. Benché Salvini non sarà presente all’incontro, non avendo ancora il Governo ricevuto la fiducia del Parlamento, il suo messaggio è comunque giunto chiaro e forte agli altri partner. Di più, si è stabilita un’immediata intesa con i Paesi del gruppo di Visegrad anch’essi contrari, seppure per opposte ragioni a quelle italiane, alle modifiche proposte dalla presidenza di turno del Consiglio europeo.

In apparenza potrebbe sembrare una bizzarria che proprio l’Italia si chiami fuori dall’intesa, dopo aver tuonato contro le norme capestro di quel Trattato che di fatto ci obbligano a trattenere sul territorio nazionale tutti i migranti sbarcati dalle navi del soccorso in mare impegnate nel Canale di Sicilia e nel Mediterraneo meridionale. I media partigiani dell’Ancien Régime del centrosinistra hanno provato a ricamarci sopra. In realtà la spiegazione è semplice: il nostro Governo dice no perché le proposte di revisione sono decisamente peggiorative degli interessi italiani. Ciò che oggi Salvini rende manifesto rispecchia la posizione del suo predecessore al Viminale, il “dem” Marco Minniti, il quale, stando al contenuto riservato di una lettera che l’uscente ha inviato al nuovo ministro e resa pubblica da uno scoop dell’Huffington Post, ha raccomandato a Salvini di tenere il punto. Segno che l’ultimo governo guidato da Paolo Gentiloni ha compreso che la linea d’azione sull’accoglienza, realizzata in precedenza da Renzi e da Alfano, era sbagliata.

La parte incriminata della riforma che verrà discussa oggi attiene all’accresciuta incertezza sull’applicazione del criterio di redistribuzione dei profughi una volta giunti in un Paese Ue. La proposta avanzata dalla presidenza bulgara non prevede alcun automatismo nella redistribuzione. Piuttosto, viene individuato un criterio per far scattare la cosiddetta solidarietà europea: la riallocazione diviene obbligatoria solo quando le domande d’asilo raggiungono una quota pari allo 0,15 per cento della popolazione dello Stato che ha svolto la prima accoglienza. Giacché in Italia vi sono 60 milioni di residenti, l’intervento Ue potrebbe essere invocato solo dopo che siano state accolte 90mila domande d’asilo. Inoltre, resta invariata la definizione più stringente di soggetto idoneo a ricevere la protezione internazionale. È noto che le autorità italiane hanno ordinariamente applicato criteri molto larghi nel riconoscimento di questo particolare diritto. Criteri che non sono condivisi dagli altri Paesi dell’Ue. La riforma accentua la responsabilità del Paese di prima accoglienza nell’assistere e mantenere l’immigrato e, nel contempo, diminuisce l’importo delle penali che il Paese che si rifiuta di ricevere il richiedente riallocato dovrebbe pagare: da 250mila a 30mila euro.

Con l’introduzione del principio di “responsabilità stabile” il Paese d’entrata si obbliga a tenere in carico il migrante per almeno 8 anni. Si sono dichiarati contrari alla proposta bulgara tutti gli Stati meridionali dell’Unione perché direttamente colpiti dall’esplodere del fenomeno migratorio. Oggi a questi si aggiunge il no italiano. È un segnale che deve essere coltivato nel senso che, con tutto il rispetto per Stati sovrani come Malta e Cipro, spetta all’Italia il compito di farsi capofila di una politica in seno alla Ue che guardi con maggiore attenzione alle istanze dei Paesi mediterranei e sia meno settentrionalista. Purtroppo sono stati perduti anni preziosi che hanno segnato la progressiva marginalizzazione del nostro Paese dal novero dei decisori continentali. Tuttavia, nulla è per sempre e anche un trend negativo può essere invertito. Come accade oggi. E i risultati possono essere immediatamente verificati.

Non è un caso se questa mattina anche la Germania, dopo aver benedetto la riforma, si è detta contraria al documento presentato dalla presidenza bulgara. Anche un bambino lo capirebbe: Berlino non vuole farsi mettere in minoranza dalla truppa meridionale sulla quale finora ha tiranneggiato. Da qui la cifra dei futuri rapporti di forza interni alla Ue: un Paese di prima grandezza come l’Italia che da fanalino di coda assurge a interlocutore primario nella difesa degli interessi d’area. Che è ciò che francesi e tedeschi non volevano che accadesse e per cui si sono battuti a suon di sgambetti e di pugnalate alla schiena dello scomodo alleato italiano. Oggi troppo ingombrante per essere ignorato e troppo ostinato per essere sopraffatto.

Aggiornato il 06 giugno 2018 alle ore 13:23