La strana opposizione

Il carattere liberale di una democrazia è determinato dall’esistenza oppure no dell’opposizione liberale, cioè da partiti legittimati e garantiti nel criticare, contrastare, insidiare il governo. Ma una tale opposizione può essere minima, se la consonanza politica tra maggioranza e minoranza parlamentare è sfumata o limitata ad aspetti trascurabili; oppure può essere veemente e distruttiva se non solo non esiste consonanza, ma addirittura l’alternatività concerne le stesse fondamenta del sistema democratico-liberale. Inoltre, un’opposizione del genere può esserci e non esserci in fatto; ma è decisivo che nessuno ne contesti la potenziale esistenza e i mezzi costituzionali e pratici per esplicarsi pienamente.

Con la nascita del “governo dei contrattisti”, come mi piace chiamarlo, autodefinitosi tuttavia “populista” per bocca del presidente del Consiglio in Parlamento, è venuta a determinarsi una strana opposizione, sotto diversi punti di vista. La classica distinzione tra opposizione di destra e di sinistra, che aveva dominato la Prima Repubblica (Msi e Pci) per scomparire nella Seconda per effetto del maggioritario, sembra ormai inapplicabile, nonostante il ritorno alla proporzionale. Infatti il governo populista, anche a causa dell’ambiguità politica dei due contraenti, copre un arco elettorale accomunato alla base, da destra a sinistra: due estremi che si toccano, com’è dimostrato dall’entusiastica approvazione del nascente governo da parte dei rispettivi militanti. L’entusiasmo sarebbe inspiegabile, allo stato, se non si piacessero. Sono rimaste fuori dall’accordo governativo tre forze, perplesse anziché no. Con conseguenze indefinibili al momento.

La coalizione vincitrice nelle elezioni si è scissa in tre: Forza Italia all’opposizione; Fratelli d’Italia astenuta; Lega in maggioranza, addirittura con il segretario vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno. Questo è un palese doppio tradimento dei loro elettori nei collegi maggioritari, perché i partiti coalizzati nell’urna hanno preso direzioni divaricate o contrapposte in Parlamento e perché si sono alleati o astenuti con avversari ferocemente contrastati in campagna elettorale. E tuttavia gli (ex?) coalizzati di centrodestra affermano con levità che restano uniti. È verosimile? La spiegazione di questa marcia disunita verso lo stesso destino viene spiegata con “il contratto”: la Lega, che lo ha firmato, si atterrà alle clausole sottoscritte assieme a Movimento 5 Stelle; FdI e FI, che non l’hanno firmato, eseguiranno solo quelle clausole del “patto di coalizione” che la Lega è riuscita a travasare nel “contratto”.

Quanto alla terza forza antigovernativa, il Partito Democratico, essa si è dichiarata opposizione addirittura prima che fosse insediato il governo. Non sapeva neppure quale maggioranza e quale esecutivo sarebbero nati che già si schierava contro, a prescindere. L’ex segretario politico dei democratici ha dichiarato che loro sono contrari al governo in base alla dottrina battezzata “altrocosismo”: una dottrina però, al momento, consistente di fumo avvolto nella nebbia.  

La situazione parlamentare e politica venutasi a creare con il nuovo governo induce alla costatazione che la vittoria elettorale sicura del M5S e meno (perché sfrutta voti non suoi propri) sicura della Lega ha prodotto effetti amplificati nel campo avverso, che appare attonito di fronte al fatto inatteso.

Aggiornato il 07 giugno 2018 alle ore 12:12