A che punto è il “vaffa”?

Diciamocelo ancora una volta: la novità, la prima vera novità della Seconda Repubblica si è manifestata nell’anno del Signore 2013. Certo, il “fenomeno” Silvio Berlusconi rappresenta e rappresenterà per omnia saecula saeculorum un evento politico (e non solo) degno degli studi più approfonditi compresa la mancata realizzazione del suo neoliberismo che, infatti, continua una latitanza sostanziale nel Paese.

Ma se analizziamo con una qualche attenzione ciò che avvenne in quel 2013 non possiamo non attribuire alla comparsa elettoralmente consistente del movimento inventato da Beppe Grillo un ruolo e un rilievo che lo pongono indubbiamente fra i più nuovi. Ovviamente, ma non troppo, un’analisi del genere non può non fissare i primissimi fotogrammi per dir così politico-programmatici del film che ne seguirà, come la più dura e frontale contestazione di quanto era stato realizzato o che era in via di attuazione da tutti gli altri partiti e movimenti. Tutti.

Le eterne, permanenti, quasi immanenti difficoltà della situazione della Polis italica per quanto attiene bilancio, debito pubblico, economia, società, erano per dir così a monte delle insufficienze “normali” dell’azione politica, ma con i grillini - anche con l’apporto di Casaleggio, meritevole anch’esso di uno studio ad hoc - le difficoltà divennero colpe inemendabili e, dunque, il bersaglio al grido di battaglia del “vaffa”, con un respingimento duro, radicale, inappellabile tipo “No Tav” e “No Tap”, con l’aggiunta di campagne non meno contestatrici seppure minori ma da un vago sapore stravagante come quella del “No vax” o a proposito di Xylella, quella degli ulivi ecc..

Slogan e parole di questi “No” hanno ottenuto una semina assai consistente nel raccolto elettorale del 4 marzo e assai opportunamente qualche attento analista non può non rilevare “la tirannia delle parole pronunciate nelle elezioni e anche prima dovendo, ora, onorare le cambiali sottoscritte. Si tratti di No vax (la legge dei giorni scorsi con l’introduzione dell’autocertificazione farlocca), l’aggiornamento del Def e la demenzialità manifestata su Genova”.

Per non dire di quell’altro “No” a questa Ue, in ottima compagnia con Matteo Salvini. E il grido di battaglia, il “vaffa”, a che punto è ora che pentastellati e leghisti governano? Capovolgendo noi per comodità l’ordine dei fattori, immaginiamo quel grido ma con i pentastellati all’opposizione, nei confronti della tragedia genovese e sarebbe fin troppo facile dedurne paragoni, forse inutili ma necessari.

E dunque non si può non riflettere non tanto o non soltanto sull’eternità della legge del prima e del dopo quanto, soprattutto, su quella, non meno crudele, dei suoi risultati quando il consenso elettorale non solo ti pone al governo ma ti impone di compiere scelte, prendere decisioni, compiere atti con il seguito dei fatti. Già, i fatti. Prima si parlava di Genova il cui ponte crollato si va imponendo sempre più nel mondo dell’immagine massmediatica come in una sorta di primo piano di corpo amputato che attende spasmodicamente un qualsiasi intervento, di fatti che non siano le parole, sempre le parole, una specialità in cui, a cominciare da un Luigi Di Maio la cui loquacità evoca le performance di “Tutto il calcio minuto per minuto” ma con l’io politico al posto del calcio, mentre al ministro grillino competente va semmai notato una sorta di compunto aplomb su tutta l’incandescente tragedia genovese. Intendiamoci, il decreto Genova c’è, ma da non poche parti ne sono stati rilevati i difetti di fondo, a cominciare dalla sua scrittura non precisamente degna di lode, con contraddizioni diffuse e con non meno evidenti incompatibilità con le leggi vigenti, secondo un percorso che qualsiasi osservatore e non soltanto ligure ha definito a ostacoli per la sua ricostruzione. Genova ha bisogno di fatti, subito. Come l’intero Paese. Ma non pare, almeno fino da ora, che il governo del cambiamento ne abbia compiuti di significativi e incisivi.

Last but not least, qualche nota a proposito del reddito di cittadinanza la cui priorità per il M5S è fuori discussione. Forse, anzi senza forse, è mancata una lettura attenta dell’intramontabile Milton Friedman, premio Nobel per l’economia, a proposito delle scelte per dir così assistenzialiste. “Se tu paghi la gente che non lavora e la tassi invece quando lavora, non essere sorpreso se produci disoccupazione”.

Aggiornato il 05 ottobre 2018 alle ore 09:54