Trentino-Alto Adige: l’amaro calice di Forza Italia

Il Consiglio regionale del Trentino Alto Adige è un’addizione, nel senso che è composto dalla somma dei Consigli provinciali delle Provincie autonome di Trento e Bolzano. I due enti territoriali hanno sistemi elettorali diversi. In Alto Adige si votano le liste, mentre l’elezione del Presidente della Provincia compete al Consiglio composto su base proporzionale. Nella Provincia di Trento vi è l’elezione diretta del Presidente. I candidati possono concorrere facendosi sostenere da liste collegate. La particolarità del meccanismo elettorale impedisce di fare del Trentino-Alto Adige la cartina di tornasole del consenso nazionale ai partiti. Tuttavia, una prima analisi può essere approcciata. Domenica, a fare la parte del leone, nel contesto dei partiti nazionali presenti sul territorio, c’è stata la Lega di Matteo Salvini e non più il Partito Democratico. Tanto a Bolzano, quanto a Trento. Se nella patria dell’irredentismo italiano il centrodestra conquista il presidente con un rotondo 46,73 per cento di preferenze su uno staccatissimo candidato del centrosinistra fermo al 25,40 per cento, nell’altoatesino sorprende quell’11,1 per cento che fa della Lega il terzo partito della Provincia, alle spalle di due formazioni locali rappresentative delle minoranze linguistiche.

Ma andiamo con ordine. Oltre al successo della Lega, tre sono gli elementi funzionali a una riflessione politica: il mancato exploit dei Cinque Stelle, il crollo del Partito Democratico, il disastro di Forza Italia. I Cinque Stelle. Era lecito attendersi che la presenza al Governo dei grillini facesse da traino al candidato e alle liste pentastellate. Non è stato così. A Trento, il grillino Filippo Degasperi ha raggiunto il 7,10 per cento mentre la lista collegata al suo nome si è spinta al 7,23 per cento. Tenuto conto che nel 2013 i grillini avevano ottenuto il 5,85 per cento, il più 1,38 per cento rappresenta sì un avanzamento ma nel contesto complessivo è un flop. A Bolzano per i Cinque Stelle è andata anche peggio. Domenica hanno ottenuto il 2,4 per cento con 6.670 preferenze contro il 2,5 per cento delle precedenti elezioni. Un meno 0,1 percentuale che pesa come un macigno sul futuro grillino. I sodali di Luigi Di Maio possono solo invocare l’attenuante dell’azione di disturbo esercitata dalla presenza nella competizione dell’ex-grillino Paul Koellensperger, che con una sua lista indipendente ha ottenuto il 15,2 per cento drenando i consensi della destra di lingua tedesca.

Per il Partito Democratico è stata una “Caporetto”. Era la squadra da battere, visti i risultati ottenuti nella consultazione precedente. Invece, a Trento, pur avendo schierato un big del partito a candidato presidente, il Pd ha ottenuto il 13,93 per cento, con un calo dell’8,13 per cento rispetto al 2013. A Bolzano, il Pd ha dimezzato i propri voti: il 3,8 per cento contro il 6,7 per cento del 2013. Numeri in linea con la crisi profonda che la sinistra nel suo complesso sta attraversando in Europa. Ora, se il sentimento prevalente nei Cinque Stelle è la delusione, tra i “Dem” la rassegnazione, per gli appartenenti a Forza Italia dovrebbe essere lo sgomento. Il voto di domenica è stato un disastro, solo parzialmente nascosto dal risultato vincente della coalizione di centrodestra a Trento. Lì è vero che ha vinto con ampio margine Maurizio Fugatti, ma quel successo è per intero ascrivibile alla Lega. La lista di Forza Italia ha rimediato il 2,82 per cento con una perdita secca di 1,6 punti percentuali rispetto al 2013. Per comprendere la dimensione della sconfitta bisogna guardare ai numeri. Il partito di Berlusconi a Trento ha preso 7.204 voti, 3.291 in meno rispetto a quelli del 2013. Quindi, una regressione pur in costanza di un poderoso avanzamento della coalizione.

Ad essere cattivi, visti i risultati, ci sarebbe da insinuare che la ricomposizione del centrodestra in quella realtà territoriale sia stato un atto di generosità della Lega che avrebbe potuto far eleggere ugualmente il suo candidato senza l’apporto azzurro. A Bolzano, Forza Italia ha raccolto 2.825 preferenze pari all’1,0 per cento, staccando di soli 374 voti la lista di CasaPound. Si tratta di un altro mondo rispetto a quello che, nel 2008, vedeva i berlusconiani trionfare a Bolzano con l’8,3 per cento e 25.294 preferenze. Dieci anni orsono l’elettorato del Popolo della Libertà era dieci volte più ampio di quello odierno. Dov’è finito? Sarebbe una bella domanda da girare ai vertici del Partito azzurro. Benché il test del Trentino-Alto Adige non possa valere da indicatore dello stato di salute del berlusconismo con una modica quantità di Berlusconi, è tuttavia un fragoroso campanello d’allarme. Cos’è oggi Forza Italia, dove si colloca e a chi parla? Il sospetto è che all’odierna classe dirigente forzista tali interrogativi interessino poco. La sensazione è che i vertici stiano vivendo una separazione dalla realtà, nutrita da una patologica componente autoreferenziale. Il timore è che anche il lutto della scorsa domenica verrà elaborato in un rito collettivo autoassolutorio.

L’opposizione mancante di spirito costruttivo al Governo giallo-blu e appiattita nei toni e nei contenuti sulle posizioni del Pd, non è compresa dall’opinione pubblica. Sembra scomparsa l’attitudine sintonica con il sentire del Paese che ha fatto la grandezza di Silvio Berlusconi. La classe dirigente forzista se, da un lato, non riesce a connettersi con le istanze del suo potenziale bacino elettorale, dall’altro non mostra alcuna volontà di consegnarsi a un processo auto-riformatore che proceda dall’“area bassa” verso l’alto dell’organizzazione partitica. La pessimistica previsione è che militanti e simpatizzanti dovranno bere fino in fondo l’amaro calice della sconfitta inappellabile che suggella la chiusura di un ciclo storico prima di vedere sorgere dalle rovine della vecchia Forza Italia una nuova destra liberale. A meno che…

Aggiornato il 23 ottobre 2018 alle ore 15:43