Un Natale da perdere la testa

Pensavamo di averle viste tutte, ma al peggio non c’è mai fine. È il caso dell’estremismo ideologico che alza l’asticella dell’odio sociale anche nei giorni del Natale, quando per convenzione si dovrebbe essere tutti più buoni. Almeno provarci.

Invece, i più accaniti a fomentare lo scontro sono proprio loro, certi preti che dovrebbero dare il buon esempio. Costoro sono diventati esibizionisti, pronti ad imprese shock pur di attirare i riflettori dei media. Pubblicità gratis. Come quella di tale don Armando Zappolini, parroco di Perignano in provincia di Pisa, che quest’anno ha pensato bene di allestire il presepe nel cassonetto della spazzatura. Perché una spacconata del genere? Lui sostiene di averlo fatto in segno di protesta contro la politica di stop all’accoglienza voluta dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Se è così vuol dire che siamo in presenza del gesto dell’ennesimo fanatico che crede di essere simpatico e politically correct nel produrre una sconcezza. Si dirà: è un prete. E con questo? Se uno è stupido, resta tale anche indossando la tonaca. Dovrebbe saperlo don Zappolini che il presepe è un simbolo il cui significato trascende l’aspetto strettamente religioso per estendersi a presidio identitario di una civiltà. E i simboli, per principio, non si profanano. Mai. Sarebbe come bruciare una bandiera. È il modo più squallido e vile per insultare non un individuo, ma una comunità che in quei simboli violati si riconosce. Ma dove sta con la testa don Zappolini? Passi che gli immigrati clandestini gli stiano più a cuore dei suoi parrocchiani, ma strumentalizzare il Natale per manifestare il proprio credo, non religioso ma politico, è troppo. Lui dice che lo ha fatto perché “Dobbiamo avere il coraggio di fare il presepe dove Gesù ci aspetta fra quegli scarti dell’umanità che da duemila anni sono la sua gente”. Ma non s’accorge di quanto sia ridicolo e di quanto suoni ipocrita la sua spiegazione? Se è da duemila anni che la sua Chiesa Gesù l’ha tolto dalla mangiatoia per accoglierlo in sontuose residenze adornate dei manufatti più preziosi che l’ingegno umano abbia saputo concepire. E, aggiungiamo noi, meno male che sia andata così, altrimenti non ci saremmo trovati gioielli assoluti come gli affreschi di Giotto nella Basilica di Assisi, il Giudizio Universale di Michelangelo, il Cenacolo di Leonardo, il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino e la cupola di Brunelleschi del Duomo di Firenze, solo per citarne alcuni. C’è mai stato don Zappolini alla Cappella San Gennaro nel Duomo di Napoli? Lì si custodisce un tesoro, donato al Santo, in gemme e metalli preziosi che è più importante del tesoro della Corona di sua Maestà britannica. La fede nei secoli si è espressa anche attraverso la bellezza dell’arte ricca che non è un bidone della spazzatura.

Ma comprendiamo bene dove vogliano andare a parare don Zappolini e quelli come lui che giocano a fare i raccoglitori degli scartati altrui. Si tratta di preti che hanno perso il pelo delle pelli di ermellino cucite sui ferraioli, ma non il vizio di usare il ricatto dell’aldilà per colpire chi ne ostacoli i progetti. “Non vuoi i migranti a casa tua? Non vuoi che le cooperative e le associazioni che muovono il mondo del volontariato cattolico facciano business con l’accoglienza dei clandestini? Allora, che tu sia dannato per l’eternità, sulla quale noi preti abbiamo il copyright”. Questo è pressappoco il messaggio che motiva i vari don Zappolini a spargere anatemi e ad elargire assoluzioni, a seconda se si sia d’accordo o contrari al Decreto Sicurezza targato Matteo Salvini e approvato di recente dal Governo giallo-blu.

Ma si può trascinare l’apparato simbologico che connota l’identità spirituale di un popolo nella contesa politica quotidiana? No, non si può e chi lo fa è un demagogo. E che siano i cosiddetti uomini di Dio a rendersi protagonisti di simili nefandezze è mille volte peggio che se lo avesse fatto un politicante qualsiasi. Gli italiani sono per la stragrande maggioranza di fede cattolica. Essi meritano rispetto, soprattutto da parte dei ministri del culto nel quale si riconoscono. La dimensione spirituale della fede, il rapporto con il divino, l’aspirazione alla conoscenza del soprannaturale, sono prerogative dell’individuo che non possono essere barattate o sostituite con l’adesione incondizionata alla pratica sociale di una sorta di Onlus del buonismo. Facciano molta attenzione questi preti sputasentenze con il vizietto di compilare le liste dei buoni e dei cattivi perché, a furia di scimmiottare la sinistra terzomondista, finiranno per screditare la missione alla quale sono stati chiamati. Sempre più persone cominciano a pensare che il dialogo con l’Eterno sia esclusiva competenza del foro interiore e che nessuna intermediazione debba esservi tra l’umano e il divino. Per dirla tutta, con i tempi che corrono non è soltanto la democrazia parlamentare che deve preoccuparsi del proprio futuro.

Anche la Chiesa dovrebbe interrogarsi sul proprio ruolo nel terzo millennio. In special modo, dovrebbe domandarsi se la sacralità della sua funzione possa essere derubricata a struttura di servizio per l’assistenza e l’accompagnamento a partigiane correnti di pensiero politico. I non cattolici, attenti osservatori delle dinamiche interne all’universo vocazionale di Santa Romana Chiesa, finora avevano capito che la funzione sacrale dell’organizzazione ecclesiastica nella verticalità della trascenda fosse un caposaldo della cristianità. Almeno fino al pontificato di Benedetto XVI. Che abbiano preso un abbaglio?

Aggiornato il 28 dicembre 2018 alle ore 10:54