Parlamento come una scatola di tonno? Peggio

Nei mesi scorsi qualcuno parlava di truffa dei pentastellati e dei loro proclami, come si dice, incendiari. A proposito del Parlamento, per dire, si annunciava la sua apertura non tanto o soltanto per occuparlo in nome del mitico e intramontabile nuovo che avanza ma per aprirlo “come una scatola di tonno!”.

Una profezia? Un proclama piuttosto, anche perché l’annuncio fatale era lanciato dal tonitruante Beppe Grillo in persona con una premessa non meno fatidica: “Noi siamo completamente diversi dagli altri”, dove per altri si intendeva e si intende la “casta”, i membri della fu Polis, i politici incapaci di tutto, ladri, cialtroni e corrotti sui quali si sarebbe abbattuta l’onda purificatrice e rivoluzionaria, a cominciare da quell’aula sorda e grigia di nome Parlamento sul quale, peraltro, già si profilava minacciosa l’ombra dell’apriscatole.

Infatti, la scatola di tonno è ancora lì, come si dice in Brianza a proposito del seccatore di turno davanti alla porta. Una truffa, quella grillina? Più o meno. Intendiamoci: sempre di inganno/truffa nel segno della politica in nome e per conto di “un partito” che non vuole essere tale, che crede o fa credere di essere espressione di una democrazia diretta e più trasparente, quando invece risponde nella sostanza a disegni eterodiretti, assai poco democratici che, secondo qualche osservatore maligno, delineano i contorni di un fenomeno - peraltro mai apparso fino ad ora sulle nostre scene di natura prepolitica funzionale all’illusione della partecipazione attraverso scambi di battute tramite web, agitando un attivismo parolaio ma sempre funzionale a distruggere quelli di prima, quelli della immonda casta, quelli del Palazzo da svuotare, da abbattere, da cancellare, da svuotare come una scatola di tonno. Appunto. O no?

Dalle parole ai fatti è, come si dice, un passaggio obbligato e non soltanto in politica, con la differenza che, a proposito di Polis, i pentastellati l’hanno occupata a cominciare, qualche anno fa, sia da Roma, Capitale geografica, che da Montecitorio, che da Palazzo Chigi e via via tutti gli altri palazzi del potere. Se Roma, come ci ricordano i mass media quotidianamente, grazie alla forza propulsiva delle Cinque Stelle e dopo quasi tre anni, sembra un Vietnam, il Palazzo più Palazzo di tutti dove siedono i ministri grillini, un tempo incendiari, sta invece assumendo una fisionomia tipo Onu, laddove l’impegno del Premier Giuseppe Conte (il vice è sempre in giro per il Paese offrendosi a spot televisivi sorridentemente interventisti per colazione, pranzo e cena) è propulsivamente assai meno invadente, ché in nome della pace sembra aver fatto propria l’antica ma sempre presente e necessaria massima del lenire sopire, mentre sullo sfondo si agita sempre più il contenuto di quella scatola di tonno parlamentare per una fiducia che numericamente c’è e ci sarà, ma lo spettacolo è tutto da godere. E l’apriscatole è rinviato alla prossima.

E Matteo Salvini? Sull’erede di Umberto Bossi proprio dal “Foglio” un frizzante Bobo Maroni (che di Governo se ne intende) rivolge un disincantato ma non disinteressato “stay tuned” forse memore della entrata per dir così spettacolare del Salvini medesimo in Transatlantico indossando un giubbotto del Servizio aereo della Polizia di Stato. “È molto caldo”, ha detto in quell’occasione a chi gli faceva osservare che così vestito non poteva entrare in Aula. E lui aprendo lo zip del giubbotto della polizia (ma poi verrà il turno di quella dei carabinieri): “Sono passato a casa a prendere la giacca...”. Poi, dopo essersi liberato dei pacchetti natalizi che aveva in mano, è entrato in borghese in Aula. O era una scatola di tonno...

Aggiornato il 02 gennaio 2019 alle ore 11:06