Salvini: il rischio di voler fare all-in

Quando Matteo Salvini scelse di formare un Governo con Luigi Di Maio, i principali commentatori arricciarono il naso pensando che fosse una follia, che quel Governo non sarebbe durato da Natale a Santo Stefano.

Anche noi nel nostro piccolo esprimemmo scetticismo sull’operazione e ci sbagliavamo perché la scommessa Salvini l’ha vinta, andando anche oltre ogni sua più rosea aspettativa: in un sol colpo ha cancellato elettoralmente i suoi alleati del centrodestra egemonizzandolo, ha letteralmente fatto sparire dai radar il Partito Democratico (che altrimenti un Governo con i grillini alla fine lo avrebbe fatto) ed ha pian pianino drenato voti anche dai suoi alleati di Governo facendo la figura dello statista, di quello che – se paragonato agli inconsistenti Pentastar – è l’unico ad avere visione di insieme.

L’esperimento ha avuto successo, ma adesso Matteo deve fermarsi perché l’azzardo e il rischio non possono diventare suicidio. Fosche nubi si addensano all’orizzonte e Salvini, che non è sciocco, dovrebbe aver percepito il pericolo che proviene da almeno tre indicatori.

Il primo indicatore è il badile di sterco che comincia a piovere sul Governo: se all’inizio gli sbagli di Giggino Di Maio potevano essere un assist utile a fare un figurone dimostrando di essere la parte forte della maggioranza, adesso l’atteggiamento arrendevole dei grillini comincia a cedere il passo all’arroganza. I Cinque Stelle cominciano ad essere nervosi per cui si incaponiscono sui temi che considerano caratterizzanti trascinando tutto il Governo in avventure disastrose come il reddito di cittadinanza, le norme anticorruzione, gli agenti provocatori e menate simili che in alcuni casi impegnano il Paese drenando risorse economiche preziose.

Ciò implica che la locomotiva governativa (con tutta l’allegra brigata a bordo) rischia di inerpicarsi su un sentiero inesplorato che potrebbe non prevedere vie di fuga. Si aggiunga che dall’opposizione i pentastellati avevano promesso di fare la rivoluzione mentre adesso i nodi cominciano a venire al pettine: erano “no Tap”, volevano chiudere l’Ilva, erano contro le trivellazioni nel Mar Ionio, erano “no Tav”, minacciavano di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Poi, arrivati al dunque, i cannoni avevano le polveri bagnate e hanno fatto poco più che una pernacchietta. Salvini pensava di poter forgiare un Governo orgogliosamente sovranista ma non aveva capito che questi, lungi dall’essere populisti, sono popolani e per giunta presuntuosi. Fare il sovranista con Totò e Peppino come partner non è certo una roba che alla lunga può risultare credibile.

Il secondo indicatore ha le sembianze del Presidente della Camera, il più Fico del bigoncio, quello che guida la fronda più a sinistra del Movimento e che molto si sta impegnando per sabotare la leadership di Luigi Di Maio e le politiche governative soprattutto in tema di sicurezza e di immigrazione. Va da sé che, non potendo sviscerare agevolmente i propri cavalli di battaglia, Salvini rischia di fare la fine del quaquaraquà rimanendo vittima di una incomprensibile ostinazione a rilanciare. Quest’ultima lo porta continuamente a puntare tutto il consenso guadagnato in una sorta di “all in” pokeristico proprio quando sarebbe il caso di alzarsi dal tavolo e salutare. Non si può avere culo per sempre.

Il terzo indicatore è quello che potremmo definire “effetto Di Battista” ovvero il “Piano B” pensato dalla Casaleggio & Associati in caso di fallimento dell’attuale assetto di comando pentastar. Neanche Davide Casaleggio credeva nelle potenzialità del suo Movimento tanto che ha pensato bene di prendere una figura di punta (il “Dibba”), esiliarlo per qualche mese (facendogli fare ovviamente il grillo parlante) onde poi dargli la giusta verginità per ritornare in Italia con la credibilità necessaria per accantonare Luigi Di Maio facendo del becero nuovismo di maniera. Il dramma è che l’elettore medio pentastellato abboccherà e Salvini sarà scaricato dai nuovi padroni del M5S che per forza di cose dovranno simulare discontinuità.

Il risultato è che Salvini passerà per quello usato e poi buttato via mentre quattro disperati faranno la figura dei finissimi strateghi. La gente non sta mai dalla parte del perdente indipendentemente dalla nobiltà delle argomentazioni a supporto. E Salvini ne farà le spese.

Aggiornato il 08 gennaio 2019 alle ore 11:16