Immigrati morti in mare, la sinistra gode

La morte in mare di una persona è un dramma. A maggior ragione lo è l’annegamento di 117 immigrati nelle acque libiche, a seguito del naufragio del gommone sul quale erano imbarcati. Nessun individuo che abbia una coscienza può restare indifferente a una tragedia di tali proporzioni. Tuttavia, cosa è il sentimento di pietà di fronte alla macabra sorte di un plotone di disperati in cerca di fortuna, altra è strumentalizzare l’accaduto per scopi di propaganda politica, come ha fatto la sinistra. I vessilliferi del multiculturalismo e dell’accoglienza illimitata degli immigrati si sono esibiti in un collaudato repertorio di oscenità all’indirizzo del ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Per la vulgata dei terzomondisti di casa nostra quei morti annegati nel Mediterraneo, ieri l’altro, li avrebbe sulla coscienza il leader leghista. Non dei criminali e del loro inverecondo traffico di esseri umani; non dei governanti dei Paesi d’origine degli immigrati che sono sordi alle richieste di miglioramento delle condizioni dei propri cittadini per non indurli a non fuggire dalle loro terre; non dei leader europei, tutti, che hanno fatto muro contro il rischio d’invasione dell’Europa; non dei mammasantissima della Commissione europea che non hanno mosso un dito per impedire che tutto il peso della crisi migratoria crollasse sulla spalle dell’affaticato welfare italiano; non dei cento e più capiclan libici che si stanno scannando per spartirsi la torta del potere locale, tutto il male del mondo sarebbe opera di una sola persona: Matteo Salvini. Il “Capitano” non ha bisogno di difensori d’ufficio, riesce a cavarsela benissimo da solo, ma gli attacchi ai quali è stato sottoposto restano inaccettabili.

Non si può dire impunemente, come fa il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che “continua un genocidio e io dico al ministro Salvini che si farà un secondo processo di Norimberga. E lui non potrà dire che non sapeva” e farla franca. Paragonare il ministro dell’Interno a un criminale nazista è ignobile. Sembra di essere tornati agli “Anni di piombo” quando la sinistra benpensante scriveva sui muri il cognome dell’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, con la K e con le iniziali delle Schutzstaffel naziste al posto della doppia s. Ma se questo è il terreno della polemica che la sinistra terzomondista vuole praticare non ci tiriamo indietro.

Diciamola tutta, fin quando al largo delle coste libiche incroceranno le imbarcazioni delle Ong, i mercanti di esseri umani si sentiranno incentivati a continuare nei loro traffici. Mentre i disperati annegavano davanti alla costa libica, non lontano, nelle acque internazionali, era pronta a intervenire la nave Sea Watch, appartenente a una Ong. È evidente che qualcosa debba essere andato storto. Probabilmente mercanti di vite umane e professionisti del recupero avevano fatto affidamento sulla tenuta del gommone, non pensavano che sarebbe affondato prima del rendez-vous. Perciò c’è stata la strage. Diversamente avremmo assistito all’ennesima operazione di “salvataggio telefonato”.

Cari compagni non provate a giocare con le parole, volete un colpevole? Prendetevela con le Ong che non demordono nell’intento di sfidare la volontà del popolo italiano a contrastare l’invasione di masse di disperati. Non si possono usare donne e bambini come scudi umani per ricattare una nazione e, quando le cose vanno male, utilizzarne le morti in mare come strumento di propaganda ideologica. Non è nelle nostre corde appellarci alla categoria morale della vergogna, ma questa volta i necrofori di un pensiero politico morto quella parola ce la strappano di bocca. Già, vergognatevi compagni! Al vostro cospetto gli sciacalli sfigurano. Ciò detto, resta il problema che va risolto in radice. Non è più tollerabile che nel caos libico prosperino organizzazioni malavitose dedite al traffico di vite umane. Sono criminali della peggiore specie che vanno braccati e arrestati per essere consegnati alla giustizia della Corte penale internazionale quali rei di crimini contro l’umanità. Bene Salvini per ciò che ha fatto chiudendo i porti alle navi delle Ong. Ma limitarsi al recinto di casa nostra non basta, e neppure è sufficiente la lettera di sollecito a intervenire che in queste ore il premier Giuseppe Conte ha inviato ai suoi interlocutori libici.

È giunto il momento che l’Italia pretenda dalla comunità internazionale una chiara assunzione di responsabilità. Non abbiamo mai fatto mistero di preferire una soluzione militare esterna per la crisi libica. Solo mandando le nostre truppe sulla “quarta sponda” si sarebbe potuto mettere ordine in Libia. Ma da sola l’Italia non la spunta ad avere mano libera perché sono in gioco equilibri geopolitici che coinvolgono tutte le grandi potenze e gli attori regionali interessati ad avere un ruolo nel Nord Africa. Eppure, ad accordi internazionali vigenti qualcosa si potrebbe tentare di risolutivo.

Il 18 maggio 2015 il Consiglio Europeo definiva il quadro generale dell’operazione di gestione militare della crisi migratoria dalla Libia che il successivo 26 ottobre assumeva ufficialmente il nome di “Eunavfor Med operazione Sophia”. Il programma indicava quattro fasi d’esecuzione con diversi obiettivi da conseguire. In particolare, la fase Tre prevedeva di neutralizzare “le imbarcazioni e le strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra e quindi contribuire agli sforzi internazionali per scoraggiare gli stessi contrabbandieri nell’impegnarsi in ulteriori attività criminali”. Per implementare tale fase era richiesta una Risoluzione dell’Onu da assumere con il consenso e la cooperazione dello Stato libico. Ma tale decisione non è stata presa e l’operazione Sophia non è mai scattata di livello. Sarebbe ora che il Governo italiano puntasse i piedi e chiedesse alle Nazioni Unite di fare il suo dovere. Per rimarcare il nuovo obiettivo strategico Matteo Salvini farebbe bene a twittare d’ora in avanti, a proposito dei mercanti di esseri umani, “andiamo a stanarli a casa loro”.

Aggiornato il 22 gennaio 2019 alle ore 10:56