Se il giudice espropria il politico

La domanda di autorizzazione a procedere in giudizio, ai sensi dell’articolo 96 della Costituzione, per il reato di sequestro di persona ex articolo 605 codice penale nei confronti del senatore Matteo Salvini nella qualità di ministro dell’Interno pro tempore per i fatti connessi alla vicenda della nave “Diciotti”, trasmessa dalla Procura distrettuale della Repubblica di Catania su disposizione dal Collegio per i reati ministeriali del Tribunale di Catania, è approdata in Parlamento.

Da ieri la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato è al lavoro sulla richiesta. Nel frattempo la polemica scuote la politica. Salvini deve essere processato o no? Sarà vero dilemma? I dubbi vertono sul comportamento che assumeranno i Cinque Stelle in sede di votazione. I grillini avrebbero molto gradito che lo stesso Salvini li avesse tolti d’impaccio confermando le sue prime dichiarazioni pubbliche nelle quali ostentatamente sfidava i magistrati dichiarandosi pronto al processo. Poi le cose sono cambiate. Salvini deve aver parlato con i suoi avvocati i quali, letti gli atti, non potevano che raccomandargli un’assoluta cautela. Perché? La richiesta di autorizzazione a procedere pervenuta al Senato non è affatto una generica istanza del Tribunale dei ministri competente ad avviare un procedimento giudiziario a suo carico. Dalla completezza dell’atto risulta chiaro che si tratti di una richiesta che nei contenuti anticipa la sentenza. Il Tribunale ha stabilito, sulla base delle indagini preliminari svolte dalla Procura della Repubblica agrigentina che ha promosso l’indagine, che una condotta criminosa vi sia stata.

Ciò che adesso viene chiesto al Senato è soltanto di stabilire se la condotta criminosa ascritta al ministro sia o meno riconducibile alla categoria di “atto politico” la quale, per dettato costituzionale, è sottratta ad ogni sindacato giurisdizionale. Per i giudici la sussistenza del reato di sequestro di persona è provata dal ritardo col quale il ministro dell’Interno ha autorizzato il proprio Dipartimento per le libertà civili e per l’Immigrazione a comunicare agli organismi interessati alla vicenda della “Diciotti” il Place of Safety (Pos), cioè il luogo sicuro presso cui effettuare lo sbarco degli immigrati recuperati in mare, che conclude le operazioni Sar (Search and Rescue). Nella ricostruzione del Tribunale, confermata dalle testimonianze dei funzionari pubblici interrogati dall’Autorità giudiziaria, la prima richiesta di Pos formalmente valida inviata dall’Italian Maritime Rescue Coordination Center (Imrcc) della Guardia Costiera al Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione risale alle ore 22,30 del 17 agosto 2018, richiesta reiterata il 24 agosto. L’autorizzazione allo sbarco arriva dall’ufficio del ministro dell’Interno il 25 agosto. L’arco temporale che corre tra il 17 e il 25 di agosto 2018, a giudizio dei giudici, configura il requisito del “tempo apprezzabile” che concorre a integrare, insieme a “qualsiasi condotta che privi la vittima della libertà fisica e di locomozione, sia pure non in modo assoluto”, il delitto di sequestro di persona. A sostegno, i giudici richiamano una sentenza della Cassazione penale del 2014. Quindi, secondo il Tribunale, il fatto che Salvini avesse impedito per alcuni giorni ad un dipartimento del suo ministero di fornire il luogo dove effettuare lo sbarco giustifica l’accusa a suo carico di sequestro di persona a danno degli immigrati ospitati sulla “Diciotti”.

Scrivono i giudici nella richiesta di autorizzazione a procedere: “Prescindendo dalle ‘ragioni politiche’ che hanno indotto il ministro a negare l’autorizzazione allo sbarco fino al 25 agosto, è convincimento di questo Tribunale che la condotta in esame abbia determinato plurime violazioni di norme internazionali e nazionali, connotandosi per ciò solo di quella indubbia ‘illegittimità’ integrante il reato ipotizzato”. I giudici vanno oltre. Prevenendo l’obiezione che anche la nave ormeggiata in porto possa considerarsi “luogo sicuro” alla stregua di una località sulla terraferma, essi precisano che il carattere di temporaneità della sistemazione a bordo di una nave, ancorché ormeggiata in acque sicure e regolarmente assistita dalla terraferma per gli approvvigionamenti di generi di prima necessità e per le cure mediche alle persone presenti a bordo, non esime l’autorità indagata dall’esplicita violazione della normativa internazionale in materia. Per il Tribunale “ne consegue che l’assenza di reali motivazioni, che nell’ambito e nei limiti della normativa che disciplina l’accoglienza dei migranti soccorsi in mare, potesse giustificare il veto posto dal ministro al rilascio del Pos ed all’avvio della procedura di sbarco, manifesta il carattere “illegittimo” della conseguente condizione di coercizione a bordo patita dai migranti”. Insomma, per i giudici di Catania Salvini è colpevole. Ora, l’ultimo diaframma che resiste ad arginare la definitiva tracimazione del potere giudiziario nel campo della politica è rappresentato da quella scriminante che, secondo la norma costituzionale, differenzia “un atto politico”, insindacabile tout court dal giudice penale, da “un atto amministrativo adottato sulla scorta di valutazioni politiche”.

Non che anche su questo punto il Tribunale di Catania non abbia provato a dire la sua offrendo nella richiesta di autorizzazione a procedere una puntuale descrizione di ciò che, a suo parere, si debba intendere per “atto politico”. Il sospetto è che in qualche modo i giudici abbiano ritenuto di dover fornire elementi di diritto idonei a orientare il giudizio di quei parlamentari ancora incerti sul da farsi. Il pensiero va ai Cinque Stelle, nelle cui inaffidabili mani oggi sono riposti tre secoli di teorie liberali sulla separazione tra poteri dello Stato. Purtroppo per loro questa volta i grillini non potranno giocare a tenere il piede in due staffe, dovranno schierarsi da una parte o dall’altra, assumendone le conseguenze.

Se Luigi Di Maio e compagni confermeranno che il comportamento del ministro Salvini riguardo al caso della “Diciotti” è stato un atto politico condiviso in sede governativa, dovranno turarsi il naso e negare l’autorizzazione a procedere. Al contrario, significherà derubricare l’operato di Salvini a mera “condotta, che costituisce atto amministrativo endo-procedimentale dovuto”, già di fatto censurata dalla giurisdizione ordinaria in sede di richiesta di autorizzazione a procedere. Tertium non datur. Tutto ciò evoca un ben più ampio e profondo interrogativo: questa maggioranza politica a forte cifra grillina dov’è che vuole portare il Paese?

Aggiornato il 31 gennaio 2019 alle ore 10:31