Salvini va forte in Italia, e in Europa?

Lungi da noi qualsiasi volontà di suggerimenti, tanto meno di consigli, figuriamoci di ordini, al politico. Vincente o perdente, il suo mestiere - sia che lo sappia fare sia che lo stia imparando - ricorda l’antichissima appropriazione proverbiale di quel latino che chiariva, a proposito del mestiere che, “solo è mio”. E lasciamoglielo. Il Salvini che ha vinto le Europee necessita di qualche di altra riflessione non solo o non soltanto perché ogni vincitore ha avuto, ha e avrà a che fare proprio con le conseguenze della sua vittoria, a cominciare dal governare in prima persona, ma per il quadro internazionale nel quale deve muoversi, facendo innanzitutto riferimento ai numeri-alleanze proprie e, subito dopo, alle altre possibili, anzi, indispensabili.

Ha promesso, se ben ricordiamo, di rivoltare l’Europa come un calzino ma qualche dubbio, sia pure piccolo, ci sia consentito sulla realizzazione di tale impresa non fosse altro perché, allo stato, il leader della Lega gode di una vittoria italiana bensì ampia ma non tale nelle alleanze se è vero come è vero che, attualmente, la sola alleata è la francese Marine Le Pen, che ha vinto ma non così alla grande…

Meglio che niente, si capisce, ma soli insieme non si può andare molto lontani proprio a causa dell’asimmetria: forte in Italia e debole nel Vecchio Continente per cui non v’è dubbio che la risposta salviniana ai suoi elettori ci sarà, ma dovrà innanzitutto trovare i numeri per renderla possibile, forte e credibile.

Questo l’ottimo Matteo lo sa benissimo, e dunque al di là di una Lega stravincente e di un Movimento 5 Stelle che ha fatto cappotto, la realizzazione di una maggioranza sarà non facile come, pure, la prosecuzione della coabitazione senza peraltro dimenticare l’impossibilità di nuovo incarico senza una maggioranza precostituita. La Lega un tempo bossiana e definita per anni lombardo-veneta (a cominciare proprio da Salvini) è riuscita a rovesciare questa impostazione redistribuendosi nel territorio, e vincendo nel Paese come partito nazionale moderato grazie soprattutto ad una capacità comunicativa e attrattiva eccellente tanto più significativa e per certi aspetti sorprendente sol che si pensi che quel vero e proprio raddoppio di consensi è stato raggiunto stando al governo, cioè in una “posizione facilmente repulsiva di simpatie potendo meritare ogni dissenso ma certo degna del massimo rispetto” e, come s’è visto, votata.

La gente ha creduto alla Lega a cominciare dai romani che il 26 maggio hanno offerto un dato eloquente come pochi: la percentuale ottenuta dalla Lega in Roma Capitale è il 25,8%, la Roma che per lustri è stata simbolo del male burocratico, civile, economico per i leghisti al grido (allora) di “Roma ladrona, la Lega non perdona!” e col ricambio di insulti e odio. Il risultato odierno è che un romano su quattro vota Carroccio, grazie ad un Salvini al quale non erano mai state risparmiate aggressioni politiche e disistime, cui vanno aggiunte, in questa campagna elettorale, le offensive da parte della magistratura, dei radical chic, di una certa Chiesa, degli stessi alleati di maggioranza e ci fermiamo qui per via dell’indimenticabile ma con una brutta fine, di quel “molti nemici, molto onore!” del tempo che fu.

Intendiamoci: i trionfi elettorali hanno l’oro in bocca, ma, come si sa, durano lo spazio di un mattino e pure di una notte, ma il risveglio è un’altra cosa, anche per il salvinismo vincente se è vero come è vero che è giunta a Roma la lettera di richiamo della Ue che qualcuno considera come un antipasto, sollecitandoci il rimpianto delle mollezze della Commissione Ue che è stata abbastanza indulgente con l’Italia di Matteo Renzi e di Giuseppe Conte ma ora, se Salvini non volesse aumentare l’Iva e neppure mettere la patrimoniale, come fa la Finanziaria? E tuttavia, come va scrivendo in questi giorni il nostro giornale, la sottolineatura dell’affluenza da record e dei risultati ci consegnano una grande maggioranza europeista che fa da contraltare a cinismi e critiche violente pre 26 che riempivano la bocca dei pentastellati, gli stessi che ora stentano a fare qualche dichiarazione, forse nella consapevolezza che la perdita di una quasi metà del proprio elettorale parla da sola.

E, molto probabilmente, ci offrirà nelle prossime puntate una crisi-verifica di governo dove un Salvini, sempre più generoso, a parole, verso gli alleati sconfitti, sarà più duro nei fatti. Non più promesse.

 

 

Aggiornato il 30 maggio 2019 alle ore 11:16